Con il decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio 2020 (D.L. n. 124/2019, convertito in legge n. 157/2019), il legislatore ha inteso disciplinare, in una chiave antielusiva, i profili di tassazione dei redditi corrisposti dai trust a soggetti residenti in Italia. La ratio seguita dal legislatore nel rimodulare la soggettività passiva di tali entità si deve ravvisare nella collocazione dell’art. 13, rubricato “Trust”, all’interno delle “Misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva ed altri frodi fiscali”. In particolare, la novella si dipana in due direttrici: - da un lato, mediante una modifica del comma 1 lettera g-sexies) dell’art. 44 TUIR, che fa ricadere nell’ambito di applicazione dei redditi di capitale anche i redditi corrisposti a soggetti fiscalmente residenti in Italia da trust opachi stabiliti in paradisi fiscali; - dall’altro, aggiungendo il comma 4-quater all’art. 45 TUIR e prevedendo la tassazione integrale delle attribuzioni dei trust opachi esteri, laddove non sia possibile distinguere le attribuzioni tra patrimonio e reddito. Trust trasparenti, opachi e misti Per una corretta disamina della fattispecie, occorre in primis evidenziare che, ai fini fiscali, i trust possono essere raggruppati in due categorie: - trust trasparenti, qualora vi siano dei beneficiari individuati; - trust opachi, i cui eventuali beneficiari possono ricevere il reddito solo a seguito di una scelta discrezionale operata dal trustee. È d’uopo precisare che vi possono essere anche trust c.d misti, in cui una parte del reddito è accantonata fino alla definitiva assegnazione ai beneficiari e una parte è attribuita a questi ultimi. In punto di prassi occorre riferirsi, per quanto concerne l’individuazione del beneficiario del trust, alla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 48/E del 2007. In tale documento interpretativo si è evidenziato come sia necessario che il beneficiario non solo sia individuato, ma che risulti anche titolare del diritto di pretendere dal trustee il pagamento della parte di reddito a lui imputata. Solo in tale circostanza, infatti, si configura il presupposto d’imposta in capo al beneficiario quale titolare di una capacità contributiva attuale. Nei trust c.d. trasparenti, dunque, in deroga al principio di cassa che regola la tassazione dei redditi di capitale, gli stessi sono imputatati ai beneficiari in relazione alla loro quota risultante o presunta, indipendentemente dalla loro effettiva percezione, secondo un criterio di competenza per trasparenza. Tali redditi si qualificano come redditi di capitale e sono tassati ai fini IRPEF sulla base delle aliquote personali del beneficiario. Nel caso dei trust cosiddetti opachi, al contrario, i redditi conseguiti sono assoggettati a tassazione unicamente in capo al trust medesimo quale soggetto passivo IRES, senza scontare una nuova imposizione nei confronti dei beneficiari. Proprio su tale ultima fattispecie, l’Agenzia delle Entrate era intervenuta con la circolare n. 61 del 2010 propendendo per la tassazione dei redditi conseguiti da beneficiari fiscalmente residenti in Italia di trust esteri. Questo al fine di “evitare il conseguimento di indebiti risparmi di imposta che potrebbero essere conseguiti, ad esempio, nell’ipotesi di trust opachi costituiti in giurisdizioni straniere a regime fiscale agevolato”. Tuttavia, tale interpretazione non trovava una propria legittimazione all’interno dell’art. 44, comma 1, lettera g-sexies), TUIR, che delimitava la propria forza attrattiva ai redditi “imputati” al beneficiario da parte di un trust trasparente (e non anche opaco). Quanto sopra aveva di conseguenza creato un disallineamento sistematico tra prassi e normativa di riferimento, generando in tal modo una notevole incertezza applicativa. In tale contesto, in cui la certezza del diritto era stata adombrata dalla prospettiva “estensiva” adottata dall’Agenzia delle Entrate, in nome di un richiamato intento antielusivo, occorre inquadrare l’intervento del Legislatore fiscale, che ha inteso superare le sopra richiamate lacune interpretative. L’intervento del decreto fiscale 2020 Secondo la nuova formulazione dell’art. 44, comma 1, lettera g-sexies), del TUIR, modificata a seguito delle disposizioni del decreto fiscale, dopo le parole “anche se non residenti” sono aggiunte le seguenti: “nonché i redditi corrisposti a residenti italiani da trust e istituti aventi analogo contenuto stabiliti in Stati e territori che con riferimento al trattamento dei redditi prodotti dal trust si considerano a fiscalità privilegiata ai sensi dell’articolo 47-bis, anche qualora i percipienti residenti non possono essere considerati beneficiari individuati ai sensi dell’articolo 73”. La novella legislativa, nel riferirsi ai “redditi corrisposti” (e non soltanto imputati come nella precedente formulazione), estende l’ambito applicativo della norma anche ai redditi di percipienti di trust esteri paradisiaci. Questo cambio terminologico comporta quindi l’assoggettamento a tassazione anche nelle fattispecie in cui il beneficiario non sia puntualmente individuato (come nel caso del trust opaco), e i redditi siano a quest’ultimo “corrisposti” da parte di trust situati in Stati o territori considerati a fiscalità privilegiata ex art. 47-bis. Si vuole quindi agganciare la soggettività passiva dei beneficiari a un criterio di cassa, laddove i redditi siano tassati al momento della corresponsione al beneficiario fiscalmente residente. Viene fatta salva la possibilità da parte di quest’ultimo di scomputare eventuali ritenute subite all’estero. Rispetto alla circolare del 2010, dunque, viene confermata la tassazione in capo ai beneficiari fiscalmente residenti in Italia dei trust opachi, ma solo se questi ultimi sono situati in paradisi fiscali. La novella normativa ha inoltre inteso disciplinare con il nuovo art. 45, comma 4-quater, TUIR), in ottica antielusiva, le ipotesi in cui non sia possibile distinguere nella fase delle attribuzioni, la quota riferita al reddito da quella relativa al patrimonio, attribuendo qualificazione reddituale all’intero ammontare percepito. La vis attrattiva della norma ha di conseguenza enucleato una presunzione di natura reddituale nel caso in cui il beneficiario si trovi a vedersi corrispondere emolumenti di incerta qualificazione.