Il D.L. n. 124/2019 - decreto fiscale 2020 - contiene un nutrito pacchetto di disposizioni finalizzate a contrastare il fenomeno delle indebite compensazioni. Tra queste, all’art. 1, si introduce il divieto di compensazione mediante accollo fiscale. Nel nostro ordinamento l’accollo fiscale è riconosciuto dall’art. 8, comma 2, della legge n. 212/2000, che sancisce l’ammissibilità dell’accollo del debito d’imposta altrui sebbene, in tal caso, non sia prevista la liberazione del contribuente originario. In materia fiscale pertanto, a differenza di quanto può avvenire sul piano civilistico (cfr. art. 1273 c.c.), l’accollo non libera il soggetto accollato (che rimane l’unico soggetto passivo d’imposta) dal debito verso l’erario. Coerentemente con tale impostazione, l’art. 1, comma 1, del decreto fiscale stabilisce che chiunque si accolli il debito d’imposta altrui debba procedere al relativo pagamento, secondo le modalità previste dalle diverse disposizioni normative vigenti. Al comma 2 della disposizione è poi sancito il divieto di pagamento utilizzando in compensazione crediti di spettanza dell’accollante. Le disposizioni in commento confermano, nella sostanza, quanto già affermato dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 140/E del 15 novembre 2017, con la quale l’Amministrazione finanziaria aveva ritenuto che il debito oggetto di accollo non potesse essere estinto utilizzando in compensazione crediti vantati dall’accollante nei confronti dell’Erario. Tuttavia, tenuto conto delle condizioni di incertezza sulla portata applicativa della disposizione, l’Agenzia aveva riconosciuto come validi e non sanzionabili i pagamenti dei debiti accollati, effettuati tramite compensazione, prima della pubblicazione della medesima risoluzione. Violazione del divieto: quali conseguenze? Il comma 3 della disposizione disciplina le conseguenze della violazione del divieto di compensazione, precisando che in tal caso i relativi pagamenti si considerano non avvenuti e sancendo l’applicabilità delle sanzioni previste dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997. Le modalità di applicazione delle sanzioni sono definite al comma 4 che ne prevede l’irrogazione tramite atti di recupero da notificare, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui è stata presentata la delega di pagamento, nei confronti e in misura diversificata per l’accollato e l’accollante. Nello specifico per l’accollante è stabilita la sanzione pari al 30% del credito indicato nel modello F24, disciplinata dall’art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997 con riferimento alle compensazioni effettuate in violazione di norme di legge. Nel caso più grave in cui il credito utilizzato in compensazione dall’accollante sia inesistente, resta salva l’applicazione della sanzione dal 100% al 200% del credito stesso, disciplinata dal comma 5 del medesimo articolo 13. Per quanto concerne il regime sanzionatorio dell’accollato, che resta il soggetto passivo del rapporto tributario, si prevede in aggiunta al recupero dell’imposta non versata e degli interessi anche l’applicabilità di una sanzione pari al 30% dell’imposta indebitamente compensata dall’accollato, disciplinata secondo le modalità previste per gli omessi o ritardati versamenti dall’art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 90 giorni, la sanzione è ridotta al 15%, mentre per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 15 giorni si applica la sanzione pari allo 0,1% giornaliero. Relativamente al recupero di imposta e interessi in capo all’accollato, l’art. 1, comma 4, del D.L. n. 124/2019 specifica che l’accollante è coobbligato in solido. Il quinto e ultimo comma della disposizione demanda ad un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate il compito di definire le modalità tecniche necessarie all’attuazione della disciplina in esame.