Nel confine dei 14,3 miliardi messi a disposizione dall’assestamento che ha ricevuto ieri il via libera finale del Senato i numeri del decreto Aiuti in programma oggi in consiglio dei ministri ballano ancora sotto la spinta di diverse pressioni. E tra le norme che attendono l’assetto definitivo c’è quella sulla rivalutazione delle pensioni. I punti fermi non mancano. Il meccanismo anticipa a ottobre una quota dell’indicizzazione che le regole ordinarie farebbero scattare a gennaio 2023. L’indice per questa rivalutazione parziale è il 2%, studiato come forma di compensazione parziale all’inflazione subita dai pensionati nei primi sei mesi dell’anno. Ma chi riceverà la rivalutazione? Le ipotesi in campo sono due. La prima è quella riportata dalla bozza del decreto circolata ieri, e applica l’indicizzazione a tutti. Ma non nella stessa misura. Il principio guida è infatti quello delle tre fasce in cui è divisa l’indicizzazione dopo l’ultimo ritocco del meccanismo. Il parametro pieno sarebbe riservato agli assegni fino a quattro volte il minimo, quindi fino a 2.097,4 euro lordi al mese (27.266 all’anno). I titolari di trattamenti che rientrano in questo importo, cioè l’ampia maggioranza dei pensionati, possono nutrire le certezze più solide: a loro si applicherà il 2% in formula piena. Per una pensione da 2mila euro lordi, si tratta di 40 euro in più al mese. La seconda fascia, fra 4 e 5 volte il minimo (dunque fino a 2.621 euro al mese, 34.082 all’anno), avrebbe il 90% dell’indicatore, quindi un’indicizzazione dell’1,8%. Una pensione da 2.500 euro riceverebbe 45 euro aggiuntivi. Sopra scatterebbe la quarta fascia, a cui spetta il 75% dell’indicatore, quindi un aumento dell’1,5%: anche un assegno da 3mila euro crescerebbe quindi di 45 euro. Un meccanismo del genere secondo la bozza avrebbe un costo lordo di 2,381 miliardi. Per ridurre l’impatto, si fa strada quindi l’alternativa che limita anche per i pensionati il raggio d’azione dell’intervento anti-inflazione: in questa opzione, l’anticipo dell’indicizzazione riguarderebbe solo le pensioni pari a circa 4,5 volte il trattamento minimo, cioè poco sopra i 2.500 euro lordi al mese. In pratica, l’aiuto si allineerebbe alla soglia dei 35mila euro lordi all’anno entro i quali opera anche lo sconto aggiuntivo dell’1% sul cuneo contributivo per i lavoratori dipendenti. Lo stesso livello di reddito, del resto, era stato usato come discrimine anche per il bonus da 200 euro. E la mossa che aiuterebbe parecchio a far quadrare i conti del provvedimento senza troppi mal di pancia politici perché l’anticipo escluderebbe le pensioni più alte.