Influencer: quando è necessario aprire la partita IVA

Sono sempre più le persone che utilizzano i social per lavoro, riuscendo a monetizzare grazie alla propria presenza sul web. Alcuni di questi hanno dato vita a nuove figure professionali come quella dell'influencer. Solitamente parliamo di una persona nota o anche un personaggio pubblico, in grado di indirizzare l'utente medio a modificare le proprie abitudini, preferenze e scelte di spesa. Questi soggetti sfruttano la propria notorietà sottoscrivendo contratti e/o collaborazioni di sponsorizzazione di prodotti e servizi altrui al fine di incrementarne le vendite, in cambio di una remunerazione. Attenzione, però, perché c'è una linea sottile tra hobby e lavoro, occasionalità e professionalità della prestazione. Sono proprio i concetti di abitualità e continuità i campanelli d'allarme da tenere in considerazione per valutare l'obbligatorietà della partita IVA. Proviamo a fare un po' di chiarezza in questo articolo. L'innovazione tecnologica come strumento - L’innovazione e la tecnologia continuano a fare passi da gigante di giorno in giorno. Il mondo digitale si sta sviluppando sempre più creando una rete così fitta da divenire ormai parte integrante della nostra quotidianità. Da qui la nascita di scenari lavorativi differenti rispetto al passato. Con l'avvento dei Social Network, l'accesso a questi nuovi “mestieri” è risultato sempre più semplice e diffuso anche a soggetti emergenti, piccoli e sconosciuti. Quando diviene necessaria la partita IVA? - Un influencer affermato e molto conosciuto in rete (Chiara Ferragni ad esempio) può ottenere collaborazioni proficue che consentirebbero guadagni molto alti, che ovviamente devono essere dichiarati e tassati. Di contro, per gente aspirante influencer, agli inizi, la partita IVA non è sempre (o subito) necessaria. Come già detto in precedenza la partita IVA non è obbligatoria se l’attività svolta è di tipo occasionale e non organizzata (art. 5 del DPR n. 633/1972). Nel momento in cui la remunerazione diventa fonte di reddito principale e continuativa, l’attività è considerata abituale, professionale e non più occasionale. Molti soggetti si cullano dietro le prestazioni di lavoro autonomo occasionale, sbagliando, perché di fatto, non è il suddetto limite a stabilirne la natura. Queste ultime, sono produttive di redditi diversi ex art. 67, co. 1, lett. I del TUIR, e sono possibili solo a determinate condizioni: l’attività non deve essere svolta in modo professionale e non deve essere autonomamente organizzata (non deve trattarsi di attività di impresa); l’attività deve essere occasionale, quindi del tutto episodica (se si pubblicano contenuti tutti i giorni, quindi, non vi si rientra, a prescindere dall’esiguo guadagno); non deve esserci coordinazione del lavoro da parte del committente e con impiego di mezzi, ma svolta in totale autonomia nei modi e nei tempi di esecuzione; i compensi percepiti da ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, non devono superare complessivamente l'ammontare di 5.000 euro; inoltre, per le prestazioni rese in favore del medesimo committente, non si devono percepire compensi superiori a 2.500 euro. Spesso, il problema principale per chi svolge queste attività sta proprio nella dimostrazione dell'occasionalità e saltuarietà del servizio reso. Ad esempio, pensiamo che a pagare sia un brand per la sponsorizzazione di un prodotto per mezzo di un video da pubblicare sul proprio sito aziendale, allora parleremo di un unico e sporadico evento occasionale. Al contrario, se il pagamento è legato alle visualizzazioni o alle interazioni di un post e quest'ultimo, risulta essere fissato in modo permanente sulle piattaforme Social, allora potenzialmente può produrre guadagno ogni giorno. In questo caso, purtroppo, anche se si pubblica un video ogni tre mesi, ad esempio su TikTok, dimostrarne la sporadicità diventa molto più complesso. Tutto dipende quindi dal tipo di attività e dalla frequenza con cui si svolgono le prestazioni da influencer. É bene tener presente che l'ipotesi di prestazione occasionale è spesso limitata in questo campo, poiché la sponsorizzazione in sé è difatti un'attività continuativa proprio perché le pubblicazioni sono visibili 24 ore su 24. È giusto pensare che in questi casi l'apertura della partita IVA sia d'obbligo poiché in assenza delle suddette condizioni ci ritroveremo in un'attività di lavoro autonomo svolta in modo professionale e continuativo, produttiva di reddito da lavoro autonomo, ex art. 71, co. 2 del TUIR. Aperta quest'ultima sarà poi possibile scegliere a quale regime aderire (forfettario, semplificato o ordinario) e fare una pianificazione fiscale adeguata alla struttura dei costi da sostenere. Inoltre, se si è raggiunti una certa notorietà, è possibile anche sviluppare e avviare un proprio e-commerce personale, promuovendo i propri prodotti e/o servizi sulle piattaforme Social ai propri followers (cosiddetto Merchandise). Quale codice ATECO scegliere? - Sarà fondamentale, in fase di apertura della partita IVA, scegliere il codice ATECO più adeguato, che identifichi l’attività effettivamente svolta. Nel nostro specifico caso i possibili codici sono: 73.11.02 – Attività di streaming ed influencer; 73.11.01 – Ideazione di campagne pubblicitarie; 47.91.10 – Attività di commercio online (se si svolge una propria attività). Influencer e contributi previdenziali - Non esiste una specifica cassa di riferimento per queste nuove figure, pertanto, occorre iscriversi alla Gestione Separata INPS poiché i contributi previdenziali, per chi apre partita IVA sono obbligatori. Per il 2023 l’aliquota Gestione separata per i lavoratori autonomi, titolari di partita IVA, non pensionati, né iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie è pari al 26,23%.

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Se il lavoro è abituale, professionale, continuativo e coordinato, anche se non si raggiungono i 5.000 euro, occorre aprire la partita IVA

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