Anche se comporta dei costi non indifferenti, capita spesso che l’INPS non accolga le istanze di costituzione di rendita vitalizia a favore dei lavoratori. Tale operazione, difatti, pur riflettendosi in entrate immediate a favore dell’Istituto, dall’altra parte “ricostituisce” la posizione previdenziale dell’interessato, andando a coprire periodi anche molto lunghi con contribuzione omessa e prescritta: la finalità di questo strumento, analogo al riscatto, è difatti quella di assicurare una rendita al lavoratore, danneggiato dalle omissioni contributive del datore di lavoro o del committente. Ma quali azioni devono essere intraprese nell’ipotesi in cui l’INPS respinga la domanda di costituzione della rendita vitalizia? Ci si domanda, in particolare, se esista un termine di prescrizione entro cui impugnare il rigetto, nonché se sia necessario esperire preventivamente ricorso amministrativo. A chiarire entrambe le questioni è stata la Cassazione, con due recenti sentenze (Cass. sent. n. 32500/2021 e n. 31337/2022). Regole di riferimento La costituzione di rendita vitalizia (art. 13, legge 12 agosto 1962, n. 1338), lo ricordiamo, consiste nella possibilità, per il datore di lavoro, di “riscattare” i contributi previdenziali dei lavoratori dipendenti omessi e caduti in prescrizione. La stessa facoltà è riconosciuta al lavoratore dipendente, che può sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno. La circolare INPS 29 maggio 2019, n. 78, riepiloga i principi inderogabili della disciplina di questo istituto, unitamente ai chiarimenti in merito alle regole in vigore, rispetto al calcolo dell’onere ed ai profili probatori relativi all’esistenza del rapporto di lavoro, alla sua durata ed alla retribuzione. La citata circolare, peraltro, fornisce importanti chiarimenti riguardo alle ipotesi in cui il beneficio può essere fruito dai lavoratori parasubordinati (danneggiati a causa delle omissioni contributive del committente), dai lavoratori autonomi occasionali e dai collaboratori. Prescrizione della facoltà di rendita vitalizia In merito alla prescrizione della facoltà di costituzione della rendita, la questione è stata più volte affrontata dalla giurisprudenza, con orientamenti contrastanti; da ultimo, la sentenza delle Sezioni Unite n. 21302 del 14 settembre 2017 pare aver messo un punto fermo alla problematica, ma solo in rapporto all’obbligo del datore di lavoro di costituire la rendita a favore del lavoratore. In base alla pronuncia della Cassazione, il diritto del lavoratore a vedersi costituire la rendita vitalizia, a spese del datore, per effetto del mancato versamento dei contributi previdenziali, si prescrive in 10 anni, che decorrono dal verificarsi della prescrizione del credito contributivo dell’ente previdenziale. Basandosi in maniera non corretta su questa pronuncia, alcune sedi INPS negano ai lavoratori la facoltà di costituire la rendita vitalizia con onere a proprio carico. Detta sentenza, come osservato, affronta, però, il tema della costituzione di rendita vitalizia in rapporto alla sola pretesa di riscatto con onere a carico del datore di lavoro, mentre non tratta della facoltà di costituzione della stessa rendita con onere a carico del lavoratore. Per quanto concerne quest’ultima ipotesi, difatti, non esiste un termine massimo entro il quale esercitare la facoltà, per definizione imprescrittibile (ex multis, Trib. di Enna, ord. 30 ottobre 2020, R.G. 960/2020). Natura dell’istituto È fondamentale sottolineare che la rendita vitalizia, a differenza di quanto sembrerebbe indicare il nome della misura, non è una prestazione previdenziale, ma uno strumento “per rimediare all'inadempimento datoriale dell'obbligazione contributiva e ai danni che ne siano potuti derivare al lavoratore” (Cass. sent. n. 32500/2021). Nello specifico, si tratta di un rimedio alla decurtazione pensionistica conseguente all'omesso versamento dei contributi dovuti, consistente nella necessità di costituire la provvista per il beneficio sostitutivo della pensione. Rigetto della domanda di costituzione di rendita vitalizia In base a quanto esposto, è evidente che la costituzione di rendita vitalizia non costituisca una prestazione pensionistica. Pertanto, in caso di rigetto della domanda da parte dell’INPS, la misura non è assoggettata alla decadenza triennale di cui all'art. 47, D.P.R. n. 639/1970. L’insussistenza della natura di trattamento pensionistico determina altresì che l’azione giudiziale, volta ad accertare il diritto alla rendita vitalizia, non sia subordinata alla necessità di inoltrare preventivamente ricorso amministrativo all’INPS. Tale obbligo è infatti previsto dalla legge solo in relazione alle prestazioni previdenziali (Cass. sent. n. 31337/2022).