Simulare nella forma l’esistenza di una proprietà di tipo condominiale, che non sussiste nella sostanza, sulle parti comuni di un edificio, all’essenziale fine di poter beneficiare sulle spese dei lavori di ristrutturazione del medesimo dell’agevolazione superbonus di cui all’art. 119 del DL 34/2020, altrimenti non spettante, integra gli estremi dell’abuso del diritto di cui all’art. 10-bis della L. 212/2000. Questa è la conclusione cui perviene la Corte di Giustizia Tributaria di I° grado di Trieste nella sentenza 11 aprile 2023 n. 81/1/23, con riguardo a un edificio “disabitato e in pessime condizioni” che una società di ristrutturazione immobiliare si era impegnata ad acquistare nella sua interezza, salvo poi cedere la propria posizione contrattuale a una serie di persone fisiche (tutte parenti o affini del socio e amministratore delegato della società di ristrutturazione immobiliare) che, acquisendo ciascuna soltanto una o due delle nove unità immobiliari che compongono l’edificio, andavano in tal modo a costituire sulle relative parti comuni quella proprietà condominiale che consentiva loro, nella forma, di rientrare nel novero dei soggetti che potevano beneficiare del superbonus sulle spese sostenute per i lavori poi affidati alla società di ristrutturazione immobiliare del loro congiunto. La pronuncia respinge il ricorso dei contribuenti avverso l’annullamento della comunicazione di opzione ex art. 121 del DL 34/2020, in relazione a spese agevolate con il superbonus, disposta dagli Uffici nell’esercizio dei propri poteri e doveri di controllo preventivo ex art. 122-bis del DL 34/2020, confermando la legittimità della loro decisione amministrativa. Per quanto l’operato degli Uffici possa essere stato corretto, nell’esercizio dei loro compiti di controllo preventivo sulle comunicazioni di opzione, dovrebbe restare ben inteso che altra cosa è la bocciatura “consuntiva” della spettanza dell’agevolazione superbonus (la cui fruibilità non è infatti oggetto del giudizio), per la quale la valutazione della condotta abusiva dei contribuenti richiederebbe la verifica in concreto che, eseguiti i lavori, i “condòmini fasulli” hanno poi alienato le unità immobiliari (secondo l’unitario e coordinato disegno dell’impresa di ristrutturazione e rivendita immobiliare), invece che continuare a possederle in un edificio sulle cui parti comuni non potrebbe a quel punto essere messa in discussione la sussistenza (anche sostanziale e non soltanto formale) di una soggettività di tipo condominiale. La riflessione che precede pare utile anche per “raccordare” la pronuncia giurisprudenziale in commento (che deve essere debitamente contestualizzata) con quanto affermato a titolo esemplificativo dall’Agenzia delle Entrate in relazione alla piena legittimità di scelte, anche infra-familiari, che determinano l’insorgenza di soggettività condominiali prima dell’inizio dei lavori che, in tal modo, possono beneficiare del superbonus di cui all’art. 119 del DL 34/2020 invece che di altri bonus edilizi meno “generosi”. In particolare, si ricorderà come la circ. Agenzia delle Entrate 22 dicembre 2020 n. 30 (§ 4.4.6) avesse chiarito che “se il proprietario di un intero edificio composto da più unità distintamente accatastate dona al figlio una delle unità abitative prima dell’inizio dei lavori, si costituisce un condominio e di conseguenza si può accedere al superbonus per gli interventi sulle parti comuni”. Questo chiarimento, condivisibile, non postula una sorta di “libera tutti” da possibili condotte finalizzate essenzialmente al conseguimento di risparmi d’imposta altrimenti indebiti (ossia di condotte abusive), ma ribadisce, anche nel contesto superbonus, come le operazioni appositamente volte a creare in modo effettivo (e non solo in modo formale) le condizioni per potersi avvalere di una agevolazione non costituiscano di per sé abuso del diritto. Chiaro che, laddove successivamente alla fruizione dei benefici superbonus, il figlio ridonasse al padre l’unità abitativa donatagli prima dell’avvio dei lavori e del sostenimento delle spese per i lavori edili, non si potrebbe più parlare di una condotta propedeutica a creare le condizioni per potersi avvalere legittimamente del superbonus, ma di una condotta abusiva. Allo stesso modo, se nel caso oggetto della sentenza della C.G.T. di I grado di Trieste, al termine dei lavori, i condomini non cedessero le loro unità immobiliari, non si potrebbe parlare di una condotta abusiva, ma di una condotta propedeutica a creare le condizioni per potersi avvalere legittimamente del superbonus. In tal caso, dunque, la spettanza del superbonus non potrebbe essere messa in discussione in virtù di pretese condotte abusive del diritto, ancorché, date le circostanze e le informazioni in possesso degli Uffici, è legittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria che, in via preventiva, ne impedisce la fruizione mediante l’esercizio delle opzioni di cui all’art. 121 del DL 34/2020.