Italia bacchettata dalla UE sui contratti a termine e sulle norme antiriciclaggio

Bruxelles invia un parere motivato sottolineando i punti critici: abuso di contratti a tempo determinato in termini di mancate garanzie per i lavoratori. Procedura d'infrazione per non aver ancora recepito la direttiva Ue sull'antiriciclaggio

L’Italia torna nel mirino dell’Ue per le condizioni di lavoro discriminatorie nel settore pubblico e l’abuso dei contratti a tempo determinato. Bruxelles ha inviato a Roma un parere motivato, secondo passo della procedura avviata nel luglio 2019, evidenziando che “la normativa italiana non previene né sanziona in misura sufficiente l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato per diverse categorie di lavoratori del settore pubblico”. L’Italia dispone ora di due mesi per rimediare alle carenze rilevate, oppure la Commissione europea potrà decidere di deferirla alla Corte di giustizia Ue.

Le categorie dove non si applicano le garanzie per evitare abusi

La direttiva europea, spiega Bruxelles, “vieta la discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo determinato e obbliga gli Stati membri a predisporre misure per prevenire e sanzionare l’uso abusivo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”. Secondo la valutazione Ue, queste garanzie non sono pienamente applicate in Italia per “diverse categorie di lavoratori del settore pubblico”, inclusi “insegnanti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario delle scuole pubbliche, operatori sanitari, lavoratori del settore dell’educazione artistica, musicale e coreutica superiore, personale dell’opera, personale degli istituti pubblici di ricerca, operatori forestali e personale volontario del corpo nazionale dei vigili del fuoco brigata”.

“Alcuni di questi lavoratori – ammonisce ancora l’esecutivo comunitario – hanno anche condizioni di lavoro meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, il che costituisce una discriminazione ed è contrario al diritto dell’Ue”. La Commissione europea aveva avviato la procedura di infrazione inviando una lettera di costituzione in mora alle autorità italiane nel luglio 2019, seguita da un’ulteriore lettera di costituzione in mora nel dicembre 2020. Sebbene Roma abbia fornito spiegazioni in merito alle proprie norme nazionali, Bruxelles ha ritenuto che “non fossero soddisfacenti” decidendo così di proseguire con il parere motivato.

Procedura di infrazione anche per l’antiriciclaggio

Ma Bruxelles va alla carica anche per il mancato corretto recepimento della direttiva Ue in materia di antiriciclaggio, coinvolgendo oltre all’Italia Lettonia e Portogallo. I tre Paesi “avevano notificato il pieno recepimento” delle norme comunitarie, ma la Commissione europea “ha individuato diversi casi” di “mancata conformità” su aspetti ritenuti “fondamentali” – come, nel caso dell’Italia, “la licenza o regolamentazione dei prestatori di servizi” -, decidendo pertanto di inviare alle autorità nazionali una lettera di messa in mora. “Le norme antiriciclaggio sono uno strumento importante nella lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Le lacune legislative di uno Stato membro si ripercuotono sull’insieme dell’Ue” evidenzia Bruxelles in una nota, esortando i Paesi ad “attuare le norme” in modo “controllato” ed “efficiente” per “combattere la criminalità e proteggere il sistema finanziario” dell’Unione. Roma, Riga e Lisbona dispongono ora di due mesi per rispondere ai rilievi di Bruxelles e adottare le misure necessarie, oppure potrebbero essere deferite alla Corte di Giustizia Ue.