In assenza di diversa convenzione tra le parti, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, a seguito delle modifiche apportate allo stesso dal D.M. n. 37 del 2018, non è dato al giudice scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9815 del 13 aprile 2023. IL FATTO Il caso trae origine da una sentenza con la quale il Tribunale di Roma, in accoglimento dell’appello di un contribuente, ha annullato una cartella di pagamento emessa per la riscossione di sanzioni pecuniarie per violazioni del codice della strada, per l’importo di Euro 3.231,33, ritenendo fondate le eccezioni dell’opponente, che aveva sostenuto di non aver mai ricevuto la notifica dei verbali di contestazione e degli altri atti presupposti. Ha regolato le spese di lite, che ha compensato per un terzo, ponendo il restante 2/3 a carico solidale delle parti, liquidando Euro 400,00 per il primo grado ed Euro 500,00 per l’appello, oltre ad Euro 147,00 per il contributo unificato, il tutto oltre accessori di legge. Per la cassazione della sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione per avere liquidato – a titolo di spese processuali di entrambi i gradi di giudizio – importi inferiori ai minimi tabellari e senza procedere, per ciascun grado di causa, ad una quantificazione per fasi. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione dichiara fondato il motivo di ricorso, sottolineando che esso pone il problema della derogabilità dei valori tabellari minimi fissati per ogni fase processuale dal nuovo testo dell'art. 4, comma 1, D.M. n. 55/2014, come modificato dal D.M. n. 37/2018. Il nuovo testo infatti prevede che per la liquidazione del compenso, il giudice debba tener conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate che possono essere aumentati fino all'80% o diminuiti in ogni caso non oltre il 50%. Per la fase istruttoria, invece, l'aumento è di regola fino al 100%, mentre la diminuzione in ogni caso non oltre il 70%. Ciò posto, gli Ermellini evidenziano che la novellata previsione di cui all'art. 4 cit. è diversa dalle precedenti disposizioni regolamentari dal punto di vista letterale, in quanto queste ultime non contemplavano un vincolo in ordine alla massima riduzione applicabile, limitandosi a disporre che tale riduzione non poteva di regola superare il 50%. Alla luce di ciò, gli Ermellini hanno affermato che la quantificazione del compenso e delle spese processuali è espressione di un potere discrezionale riservato al giudice e che la liquidazione entro i minimi e i massimi tabellari non richiede apposita motivazione, né un sindacato di legittimità, dovendo il giudice invece giustificare ogni aumento o diminuzione ulteriore. Tale approdo interpretativo è tuttora valido per le spese processuali e per i compensi professionali regolati dal D.M. n. 55/2014, ma non anche per quelli sottoposti al nuovo regime di cui al D.M. n. 37/2018: «non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore alla percentuale massima del 50% dei parametri medi e ciò per effetto di una scelta normativa intenzionale, volta a circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso – o le spese processuali – e a garantire, attraverso una limitata flessibilità dei parametri tabellari, l'uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale». La nuova disposizione ha dunque lo scopo di precisare ancora più chiaramente l'inderogabilità delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto ai parametri di base e tale intento traspare anche nella Legge professionale, laddove si precisa che il compenso, nell'ambito dei rapporti regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento di attività professionali a favore di imprese bancarie o assicurative o di imprese che non rientrino tra le microimprese o le piccole o medie imprese, è equo quando risulta proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, oltre ad essere conforme ai parametri fissati con D.M.. In conclusione, la Cassazione accoglie il ricorso ed afferma il principio di diritto per cui «In assenza di diversa convenzione tra le parti, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al DM n. 55/2014, a seguito delle modifiche apportate allo stesso dal DM n. 37/2018, non è dato al giudice scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile».