Con la sentenza n. 14817 del 26 maggio 2023, la Corte di Cassazione ha affermato che anche il sostituito non residente può presentare la domanda di rimborso della ritenuta a titolo d'imposta; inoltre, se solo il sostituto presenta tale domanda e si forma il silenzio-rifiuto, è inammissibile il ricorso notificato dal sostituito. Nel caso di specie, la domanda di rimborso da parte del sostituito estero è stata rifiutata solo per carenza di allegati e prove, diversamente secondo la Cassazione avrebbe potuto presentarla pacificamente. Si evidenzia che la giurisprudenza non si era finora pronunciata in questo senso. Nel dettaglio, l'Agenzia delle Entrate svolgeva nel 2009 una verifica fiscale generale nei confronti di una Srl e accertava l'omesso versamento di ritenute con riferimento al 2006, emettendo un avviso di accertamento. In concreto, la società aveva ottenuto un finanziamento dalla sua controllante con sede nel Regno Unito, per effetto del quale le era stato messo a disposizione un conto corrente di finanziamento. In relazione al 2006 erano maturati interessi passivi che avrebbero dovuto essere assoggettati ad imposizione nella misura del 12,5% (art. 26 c. 5 DPR 600/73, Paese estero in c.d. white list) in favore del Fisco italiano, e si assumeva invece che gli interessi fossero stati versati per intero dalla società italiana alla controllante estera, senza operare alcuna trattenuta e versamento. Nel 2011 la controllante ha presentato un'istanza di rimborso a cui l'Amministrazione finanziaria opponeva il silenzio-rifiuto. Entrambe le società hanno proposto ricorso avverso il diniego di rimborso. Come chiarito dalla Cassazione, la società italiana (sostituto) non ha operato le trattenute dovute per legge e non le ha versate all'Erario. Solo a seguito della notificazione di apposito avviso di accertamento ha provveduto ad onorare il proprio debito, prestando acquiescenza all'accertamento tributario (art. 15 D.Lgs. 218/97), divenuto incontestabile, e non ha quindi titolo per promuovere un'azione di rimborso. Per quanto riguarda la società inglese (sostituito), dal momento che questa non ha allegato né provato di aver versato le somme in questione, non può agire per chiedere il rimborso. Rappresenta allora un principio generale che chi agisce per conseguire un rimborso, pertanto la restituzione di somme che afferma di avere corrisposto, debba dimostrare di averle versate. Evidentemente una valutazione diversa dovrebbe proporsi nell’ipotesi in cui la società italiana avesse provveduto ad operare e versare le trattenute, come previsto dalla legge, perché in questo caso la società inglese avrebbe ricevuto una minor somma a titolo di interessi, ed avrebbe subito un pregiudizio economico suscettibile di restituzione al ricorrere delle condizioni di legge. Del pari la società inglese disporrebbe di un titolo per conseguire la restituzione delle somme qualora avesse rimborsato alla società italiana gli oneri sopportati ma, anche a tal proposito, deve rilevarsi che la società inglese neppure allega di avervi provveduto, tanto meno lo prova. D’altra parte la società italiana, che non ha operato le trattenute dovute per legge e non le ha versate all’Erario, ha prestato acquiescenza all’accertamento tributario, divenuto incontestabile, e non ha titolo per promuovere un’azione di rimborso. Oltretutto la stessa non ha proposto al Fisco italiano l’istanza di rimborso per cui è causa, e non possiede pertanto la legittimazione ad agire in giudizio.