La circolare Assonime n. 19 del 26 giugno 2023 analizza - in vista della predisposizione dei modelli di dichiarazione Redditi 2023 SC e IRAP 2023 e dei versamenti delle relative imposte - alcuni dei più recenti documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate che affrontano tematiche rilevanti ai fini di tali adempimenti. Obblighi dichiarativi del 2023 ai fini IRES/IRAP Assonime richiama innanzitutto in quali situazioni devono essere utilizzati i modelli Redditi 2023 SC e IRAP 2023, ricorrendone l’obbligo di utilizzo per i contribuenti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, e pertanto qualora esso abbia durata pari o inferiore a 365 giorni, purchè si concluda il 31 dicembre 2023. I modelli Redditi 2023 SC e IRAP 2023 devono essere utilizzati anche dai contribuenti il cui periodo d’imposta si concluda il 31 dicembre 2022. Invece, i contribuenti dovranno utilizzare il modello Redditi 2022 SC o IRAP 2022 qualora il periodo d’imposta si concluda prima del 31 dicembre 2022. Non vi sono, quindi, particolari novità rispetto agli adempimenti da seguire nei precedenti periodi d’imposta per le imprese e le società singole; identiche considerazioni possono essere espresse per le società che aderiscono al regime di tassazione su base consolidata. Il termine di presentazione dei modelli dichiarativi, ugualmente rispetto ai precedenti esercizi, coincide con “l’ultimo giorno dell’undicesimo mese successivo a quello della chiusura del periodo” (art. 2, comma 2, D.P.R. n. 322/1998) e pertanto, per i soggetti solari, il termine ordinario di presentazione della dichiarazione dei redditi e IRAP scade giovedì 30 novembre2023. È valida la dichiarazione presentata tardivamente, entro il 90° giorno dalla scadenza del termine ordinario (e, pertanto, salva l’applicazione delle sanzioni per il ritardo), e pertanto entro il 28 febbraio 2024). Retrodatazione contabile della fusione ed effetti sulla base ACE Nell’ambito dei documenti di prassi annotati da Assonime nella circolare n. 19 si segnala per importanza, tra le altre, la risposta a interpello n. 71 del 2023 dell’Agenzia delle Entrate inerente alla retrodatazione contabile della fusione e agli effetti sulla base ACE, in quanto fattispecie ampiamente diffusa nella prassi operativa. Rileva infatti Assonime che spesso, nell’ambito delle operazioni di fusione per incorporazione, i relativi effetti sono retrodatati ai fini contabili e fiscali dall’inizio dell’esercizio nel corso del quale l’operazione viene perfezionata; ciò comporta l’eliminazione delle transazioni intercompany eventualmente intercorse nella frazione di esercizio (cd. periodo interinale) oggetto di retrodatazione in modo da imputare direttamente alla società incorporante i componenti reddituali che sarebbero emersi laddove la stessa incorporante fosse stata titolare dei cespiti dell’incorporata a partire dall’inizio dell’esercizio. La tematica affrontata dalla risposta a interpello riguarda, pertanto, il rapporto tra l’elisione delle transazioni intercompany intervenute nel periodo interinale e l’ACE, derivanti dalla retrodatazione degli effetti della fusione per incorporazione. Risolvendo la fattispecie posta alla sua attenzione, l’Agenzia ha osservato che nell’ambito delle fusioni, agli effetti dell’ACE, vale il principio di conservazione della base ACE (laddove non si producano reali decrementi del capitale proprio), con la conseguenza che il beneficio spettante alle società che prendono parte all’operazione deve essere pari a quello che sarebbe spettato a ciascuna in assenza della fusione. Poiché in mancanza della fusione - e, più precisamente, della sua retrodatazione contabile - i dividendi distribuiti avrebbero concorso alla formazione dell’utile accantonato a riserva, in ossequio al principio in questione deve attribuirsi rilevanza anche a questa componente, ancorché non evidenziata contabilmente. Ciò in quanto il principio di conservazione della base agevolabile deve considerarsi prevalente rispetto al principio di “derivazione contabile” che caratterizza normalmente l’ACE. Assonime, pur apprezzando l’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate, rileva che gli esiti cui può condurre un’impostazione di questo tipo meritano di essere approfonditi. È infatti vero che, in presenza di una fusione tra due o più società, il principio di conservazione della base ACE della società coinvolte nell’operazione ha una valenza preminente rispetto al dato contabile. È altrettanto vero, però, che le fusioni non sono del tutto neutrali per quanto attiene al loro impatto sulle vicende successive suscettibili di assumere una rilevanza ai fini dell’ACE. Il principio espresso, più che condivisibile, non può quindi travalicare il momento di perfezionamento dell’operazione, nel senso che non è possibile continuare sine die, post fusione, a calcolare la base ACE in modo da riprodurre quello che sarebbe stato l’incremento di capitale proprio delle imprese coinvolte in assenza dell’aggregazione. Pertanto, il principio di conservazione della base ACE opera solo con riferimento alla base ACE dell’incorporata già formatasi o comunque maturata fino al momento di perfezionamento della fusione e non oltre. Dalla risposta dell’Agenzia sembra emergere una linea interpretativa che tende a equiparare, quanto agli effetti sulla base ACE, le fusioni retrodatate a quelle che non sono oggetto di retrodatazione; poiché il dividendo incassato è stato effettivamente distribuito all’incorporante nel periodo interinale è ininfluente che sia intervenuta la retrodatazione: il dividendo deve comunque ritenersi come parte integrante dell’utile di esercizio, anche se non figura più in bilancio perché eliso contabilmente, così come sarebbe avvenuto in assenza della retrodatazione. In questo senso risulterebbe indifferente la scelta di retrodatare o meno la fusione. Ma l’aspetto che Assonime evidenzia è che un approccio di questo tipo, che pure non è privo di fondamento, dovrebbe coerentemente tenere in considerazione tutti gli effetti che derivano dalla cancellazione delle transazioni intercorse tra incorporante e incorporata nel periodo interinale, per evitare il rischio di possibili duplicazioni del beneficio. La scelta interpretativa di eliminare gli effetti della retrodatazione contabile di una fusione ai fini dell’ACE pone quindi, per Assonime, taluni problemi gestionali non semplici; per evitare distonie, ciò che viene riconosciuto come componente integrativa/rettifica dell’utile civilistico della incorporante - perché riconducibile a componenti reddituali rilevate nel periodo interinale e poi cancellate per effetto della retrodatazione - dovrebbe poi essere riequilibrato con rettifiche in senso inverso negli esercizi successivi; il che imporrebbe in pratica l’esigenza di un monitoraggio in doppio binario, agli effetti dell’ACE, dei valori dei beni interessati dalle rettifiche contabili operate in sede di retrodatazione dell’operazione. Queste complicazioni, suggerisce in conclusione Assonime, potrebbero forse indurre a ritenere preferibile una soluzione diversa e più aderente alle risultanze di bilancio. In quest’ottica la ricostruzione alternativa sarebbe quella di prendere atto che la fusione con retrodatazione può dar luogo a effetti diversi sulla dinamica reddituale dell’incorporante rispetto a quanto avviene in assenza di retrodatazione e che il diverso trattamento che ne consegue, ai fini ACE, non determina di per sé - quantomeno in prospettiva futura - penalizzazioni o discontinuità di sorta. Assonime suggerisce, poi, un’ulteriore riflessione sollecitata dalla risposta a interpello; aderendo in toto alla soluzione di attribuire una rilevanza ai fini dell’ACE anche a quote di utili accantonati che non figurano in bilancio, si pone infatti il problema di stabilire quale debba essere la sorte di tali utili a seguito della successiva movimentazione del patrimonio netto contabile della incorporante. A fronte di diverse tesi che potrebbero essere seguite è opportuno attendere, infatti, un chiarimento dell’Amministrazione finanziaria. Secondo una prima linea interpretativa, infatti, si potrebbe ritenere che gli utili “virtuali” presi in considerazione nella risposta a interpello n. 71 del 2023 - che permangono presso l’incorporante per effetto del principio di conservazione della base ACE - non siano mai interessati da alcuna successiva riduzione, perché sono svincolati dalle vicende contabili che possono eventualmente interessare il patrimonio netto della stessa incorporante. L’acquisizione definitiva come componenti della base ACE sarebbe legata all’impossibilità di disporne in favore dei soci. Secondo l’opposta linea, invece, il fatto che gli utili “virtuali” si considerino accantonati a riserva e, quindi, che si assumano come incrementi rilevanti ai fini ACE, per effetto dell’accantonamento dell’utile di esercizio emerso nella sua dimensione contabile, rende fondata la critica in base alla quale il nesso tra utili effettivi e utili virtuali non è riscontrabile solo ab initio ma anche nelle successive vicende che hanno interessato la riserva. In altri termini, se è vero che l’accantonamento a riserva deve intendersi esteso anche agli utili virtuali, ancorché non presenti in bilancio, parrebbe essere altrettanto vero che anche l’eventuale distribuzione della riserva sia ugualmente da imputare agli utili in questione. Limite del patrimonio netto per il riporto delle posizioni fiscali soggettive in caso di fusione Il tema posto all’attenzione dell’Agenzia con la risposta a interpello n. 77 del 2022 riguarda, in una fattispecie di fusione con retrodatazione, l’entità del patrimonio netto cui fare riferimento per quanto riguarda il c.d. limite quantitativo e, cioè, se si deve fare riferimento al patrimonio netto risultante dal bilancio relativo al periodo antecedente oppure al patrimonio “attestato” dalla situazione contabile ex art. 2501-quater. Sul punto l’Agenzia conferma quanto già indicato nella circolare n. 54/E/2011, ossia che “la locuzione “ultimo bilancio” contenuta nell’articolo 172, comma 7, primo periodo, del TUIR, debba essere correttamente intesa quale bilancio relativo all’ultimo esercizio chiuso prima della data di efficacia giuridica della fusione, ancorché non approvato a tale data”. Assonime si domanda se la risposta qui in esame assuma una valenza innovativa con riferimento al caso di fusione per incorporazione senza retrodatazione; nella circolare, infatti, si richiama il precedente documento di prassi (Agenzia Entrate, circolare n. 54/E/2011) il quale, con riferimento alla fusione senza effetti retroattivi, specifica che “si rende necessario un confronto tra due termini omogenei ossia la “dote” di perdite fiscali pregresse […] alla data di efficacia giuridica della fusione e la consistenza del patrimonio netto a tale data”. In altre parole, continua Assonime, secondo detta circolare assume rilevanza il patrimonio netto esistente alla data di efficacia della fusione. Il confronto, però, non appare del tutto corretto. Assonime rileva che l’Agenzia, con la risposta in commento, affermi come “nessuna norma di legge prescrive la redazione di un bilancio di chiusura per le società incorporate o fuse alla data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione; […] è stato ritenuto che la locuzione "ultimo bilancio" contenuta nell'articolo 172, comma 7, primo periodo, intesa quale bilancio relativo all'ultimo esercizio chiuso prima della data di efficacia giuridica della fusione, identifica il bilancio relativo all'esercizio precedente a quello in cui la fusione è perfezionata giuridicamente”. Alle medesime conclusioni, di conseguenza, continua Assonime, si dovrebbe arrivare anche per i casi di fusione senza retrodatazione visto che, come richiamato dall’OIC 4, nessuna norma prescrive la redazione di un bilancio di chiusura per le società incorporate o fuse. Anche su tale profilo, Assonime auspica un chiarimento ufficiale da parte dell’Amministrazione finanziaria. In conclusione, la circolare n. 19 del 26 giugno 2023 di Assonime è particolarmente utile in quanto fornisce l’inquadramento sistematico di alcune questioni trattate dalla recente prassi dell’Amministrazione finanziaria, ancora meritevoli di essere comunque affrontate in successivi documenti dell’Agenzia delle Entrate, tenuto conto della loro rilevanza e complessità operativa.