La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18905 depositata il 4 luglio 2023, ha sancito che il pagamento di quanto intimato a seguito di avviso di recupero del credito di imposta non integra acquiescenza alla pretesa. IL FATTO Nella specie il contribuente a fronte di un credito IVA indebitamente utilizzato in compensazione, si avvaleva del ravvedimento operoso riversando tutto il credito e le sanzioni in misura ridotta. Successivamente, l’Amministrazione finanziaria, ritenendo illegittimo il ravvedimento operoso in quanto avvenuto dopo il controllo fiscale, inviava l’atto di recupero del credito al contribuente che veniva da questo “adempiuto”, integrando così il pagamento delle sanzioni (versate dapprima in misura ridotta a seguito di ravvedimento). Emerge dal provvedimento in esame che il contribuente adottava detto comportamento al fine di sbloccare il rimborso di un credito IVA. Ove il ravvedimento fosse stato ritenuto valido, l’avviso di recupero non avrebbe nemmeno dovuto essere emesso, il che non avrebbe fatto emergere il problema del fermo del rimborso. Si ricordi che l’art. 23 del DLgs. n. 472/97 dispone che qualora “l’autore della violazione o i soggetti obbligati in solido vantano un credito nei confronti dell’amministrazione finanziaria, il pagamento può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi”. Tuttavia, il contribuente successivamente a detto pagamento, impugnava l’avviso di recupero del credito a cui l’Agenzia delle Entrate opponeva che il pagamento stesso aveva determinato una ricognizione di debito tale da rendere l’atto definitivo e non impugnabile. In sostanza il contribuente avendo dapprima fatto il ravvedimento e poi integrato il pagamento in modo da corrispondere la sanzione intera aveva prestato acquiescenza, con estinzione dell’obbligazione tributaria: tale ragione giustificava la non impugnabilità dell’atto. Si aggiunga che l’Agenzia delle Entrate emettendo l’avviso di recupero disconosceva il ravvedimento operoso posto in essere prima della legge n. 190/2014. Il contribuente rilevava la legittimità del suo operato per effetto del comma 637 dell’art. 1 della legge n. 190/2014, con cui il legislatore ha previsto che il ravvedimento non è più inibito dal controllo fiscale ma dalla notifica dell’atto impositivo. Tale legge è retroattiva come confermato dalla circ. Agenzia delle Entrate 19 febbraio 2015 n. 6, § 10.2. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Cassazione ha ribadito che è “principio generale nel diritto tributario che non si possa attribuire al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente d’essere tenuto al pagamento di un tributo e contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domande di rateizzazione o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, salvo che non siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario”. Per cui ha riconosciuto legittima l’impugnazione dell’atto di recupero del credito in quanto “il pagamento (integrativo della sanzione, ndr) non è stato effettuato spontaneamente, ma al solo fine di evitare conseguenze pregiudizievoli o, comunque, di carattere preclusivo”. Sicché, non potendosi configurare un’ipotesi di acquiescenza il ricorso è ammissibile e l’atto impugnato può essere annullato se illegittimo. Sotto l’altro profilo la Cassazione ha riconosciuto legittimo il ravvedimento essendo la legge n. 190/2014 retroattiva. In questo modo comunque la violazione tributaria è stata sanata, determinando l’illegittimità dell’atto di recupero per il venir meno di detta violazione “a monte”.