Con l’ordinanza n. 18547 del 30 giugno 2023 la Corte di Cassazione ha affermato che, nel giudizio avente a oggetto l’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro basato sulla riqualificazione in cessione d’azienda di una pluralità di operazioni, non configura giudicato esterno la sentenza emessa dalla Commissione tributaria in relazione all’impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA relativo ai medesimi fatti. In particolare, l’impossibilità di configurare il giudicato esterno, nel caso di specie, derivava da due elementi: - da un lato, per aversi giudicato esterno è necessaria la formazione della “cosa giudicata formale ai sensi dell’art. 324 c.p.c.” sicché non è sufficiente la mera pronuncia di tardività dell’appello, da parte della Commissione tributaria regionale, posto che tale pronuncia è suscettibile di ricorso per Cassazione, ma è necessaria “la scadenza dei termini per la proposizione del ricorso per Cassazione o il rigetto del ricorso per Cassazione” (elemento che non sembra fosse sussistente nel caso di specie); - inoltre, il giudicato richiamato nella sentenza riguardava l’IVA, ovvero un tributo diverso dall’imposta di registro per soggetto passivo, presupposto di imposta e base imponibile, dovendo tenere presente anche che, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 158/2020), l’imposta di registro è un’imposta d’atto. L’efficacia del giudicato esterno si basa, infatti, sulla considerazione secondo cui, “nel processo tributario, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano ad oggetto un medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto decisivo comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto già accertato e risolto, anche laddove il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle costituenti lo scopo ed il petitum del primo”. Nell’enunciare tale principio, la Corte cita la pronuncia 16 maggio 2019 n. 13152, con cui la Cassazione ha ritenuto sussistente il giudicato esterno, nel giudizio contro l’avviso di accertamento ai fini IRPEF basato sulla natura edificabile di un terreno, per effetto della sentenza passata in giudicato che, ai fini dell’imposta di registro, aveva escluso l’edificabilità del medesimo terreno. Pertanto, non sembra che il cambiamento di imposta precluda, di per sé, l’efficacia del giudicato esterno, ma rende necessario valutare nel singolo caso se i presupposti della decisione siano i medesimi. Sulla base di tali premesse, invece, decidendo il caso di specie, la Cassazione nega l’efficacia di giudicato esterno della sentenza emessa in tema di IVA e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di II grado, affinché esamini la questione tenendo conto dell’evoluzione dell’art. 20 del DPR 131/86, in tema di riqualificazione deli atti ai fini dell’imposta di registro. Il principio di alternatività determina un legame tra i due tributi La pronuncia della Corte, quindi, in concreto, sortisce l’effetto di consentire un’ulteriore valutazione dei fatti, che si allinei alla nuova formulazione retroattiva dell’art. 20 del DPR 131/86 in tema di riqualificazione degli atti. Sarà interessante, però, verificare l’evoluzione dell’orientamento della Cassazione in tema di giudicato esterno tra IVA e registro per operazioni (come la cessione d’azienda, per l’appunto) in relazione alle quali i due tributi sono, in pratica, alternativi. Non si può non rilevare, infatti, che, per quanto si tratti di due tributi ben differenti, essi siano disciplinati da una stretta relazione, certificata dal principio di alternatività IVA-registro di cui all’art. 40 del DPR 131/86. Sicché, talvolta, dall’affermazione della “non imponibilità” IVA scaturisce la soggezione a imposta di registro (e il contrario).