L’agevolazione Ace riduce l’imponibile previdenziale

Con riguardo agli iscritti alla Gestione Commercianti l’ACE non va computata ai fini contributivi. È quanto ha sancito la Corte di Cassazione (Sez. L) con la sentenza n. 17295 depositata il 16 giugno 2023, che respinge un ricorso dell’INPS. IL FATTO Molto in breve, la Corte d’Appello di Firenze – confermando la decisione del Tribunale della stessa sede - ha accolto l’opposizione del socio amministratore della Alfa S.n.c. avverso due avvisi di addebito concernenti il recupero di contributi a percentuale eccedenti il minimale per l’iscrizione alla Gestione Commercianti, avendo ritenuto non imponibile ai fini contributivi l’agevolazione (c.d. ACE – Aiuto alla crescita economica) concessa dal D.L. n. 201 del 2011 (c.d. Salva Italia) alle imprese in grado di finanziarsi con capitali propri. Ebbene, la decisione della Collegio toscano è stata impugnata dall’INPS presso la Corte di Cassazione, ma l’iniziativa non ha avuto successo. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE In particolare, gli Ermellini – richiamato il contenuto dispositivo degli artt. 3-bis della legge n. 438/1992 e 56 TUIR - hanno osservato che l’art. 1 del D.L. Salva Italia vigente ratione temporis, con lo scopo di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e fornire un aiuto alla crescita mediante una riduzione della imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con capitale di rischio, nonché per ridurre lo squilibrio del trattamento fiscale tra imprese che si finanziano con debito e imprese che si finanziano con capitale proprio, e rafforzare, quindi, la struttura patrimoniale delle imprese e del sistema produttivo italiano, ai fini della determinazione del reddito complessivo netto dichiarato dalle società e dagli enti indicati nell’art. 73, lettere a) e b) del TUIR, ha ammesso in deduzione un importo corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio. In virtù della norma in questione, dunque, - ha evidenziato la Suprema Corte – è stato ammesso «in deduzione dal reddito complessivo dichiarato», determinato ai sensi dell’art. 75 del TUIR, «l’importo corrispondente al rendimento nozionale della variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010». Pertanto, posto che, ai sensi art. 3-bis della legge n. 438/1992 – chiosano gli Ermellini –, «la base imponibile contributiva è costituita dalla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF e che l’ACE è un onere deducibile che incide sulla quantificazione del reddito d’impresa imponibile, ne consegue che – in base a un’interpretazione teleologica delle norme appena richiamate – l’ACE finisce per incidere tanto sulla base imponibile fiscale quanto su quella contributiva. Un’indiretta conferma di tale conclusione si rinviene nel disposto dell’art. 8, comma 3, del decreto ministeriale di attuazione, che espressamente indica a quali specifici fini – diversi dalla determinazione del reddito da assoggettare ad imposta – l’ACE concorra alla formazione del reddito imponibile (individuazione dell’aliquota fiscale e determinazione dell’entità delle detrazioni), senza nulla specificare circa la sua incidenza sull’imponibile contributivo». Il Collegio di legittimità ha quindi ritenuto corretta l’interpretazione fornita dai giudici d’appello, secondo cui, per i soggetti di cui all’art. 1 della legge n. 233 del 1990, il reddito imponibile ai fini contributivi deve essere calcolato al netto dell’ACE. Ne è derivato il rigetto del ricorso dell’INPS e la relativa condanna dell’Istituto al pagamento delle spese processuali.

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