La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19868 depositata il 12 luglio 2023, si è pronunciata in tema di negligenza nello svolgimento dell’attività lavorativa, affermando che il requisito della “particolare gravità” della condotta – idoneo a legittimare la sanzione espulsiva del dipendente – non può coincidere con la recidiva in infrazioni punite in misura meno grave. Ciò poiché, per il lavoratore, si tradurrebbe in un inammissibile trattamento deteriore rispetto alle previsioni del contratto collettivo. IL FATTO La vicenda oggetto della sentenza in commento traeva origine dal licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato alla lavoratrice, dipendente di una RSA, alla quale era stata contestata la scarsa diligenza nell’esecuzione del lavoro. In particolare, alla medesima erano già stati contestati comportamenti negligenti in due precedenti occasioni, sanzionati, rispettivamente, con un rimprovero scritto e con una multa. Ad avviso della società datrice di lavoro, il comportamento della dipendente rappresentava un’evidente violazione della collaborazione con il datore di lavoro, oltre che un notevole inadempimento della prestazione lavorativa, idoneo a configurare il licenziamento ai sensi dell’art. 38 del CCNL di riferimento. I giudici di appello, in riforma della sentenza di primo grado, respingevano la domanda della dipendente volta alla declaratoria dell’illegittimità del licenziamento disciplinare irrogatole, fondando la decisione sulla contestazione disciplinare mossa alla lavoratrice, escludendo qualsiasi intento vessatorio da parte del datore di lavoro. Nello specifico, secondo la Corte territoriale, l’ultimo episodio contestato alla dipendente andava valutato unitamente a quelli oggetto delle precedenti contestazioni e sanzioni disciplinari: quindi, in ragione del notevole e reiterato inadempimento della lavoratrice, la Corte d’Appello confermava la legittimità della sanzione espulsiva, irrogata dal datore di lavoro ai sensi dell’art. 38 del CCNL dipendenti RSA. La dipendente proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello, censurandola per violazione di legge e del contratto collettivo nazionale di lavoro. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Suprema Corte, in parziale accoglimento del ricorso della lavoratrice, si è discostata dalla valutazione svolta dai giudici di appello in ordine alle infrazioni addebitate alla lavoratrice come caratterizzate da “particolare gravità”, dunque tali da permettere di punire con il licenziamento condotte normalmente suscettibili di sanzione unicamente conservativa, dai medesimi rinvenute essenzialmente nei precedenti disciplinari omologhi. Nell’argomentazione svolta nella sentenza in commento, la Corte di legittimità ha sottolineato l’importanza del ruolo della contrattazione collettiva in relazione alla proporzionalità della sanzione disciplinare, ribadendo che il datore di lavoro non può irrogare un licenziamento disciplinare laddove questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal CCNL con riferimento a una determinata infrazione. Inoltre, come ha ricordato la Corte, le norme riguardanti il concetto di giusta causa o giustificato motivo soggettivo e la proporzionalità della sanzione possono sempre essere derogate in melius, in quanto il giudice, ai sensi dell’art. 30 comma 3 della L. 183/2010, può valutare la legittimità del licenziamento disciplinare anche attraverso le previsioni contenute nei contratti collettivi. In relazione al caso in esame, la Cassazione ha, quindi, affermato che, alla luce delle previsioni del CCNL di riferimento e in coerenza coi richiamati principi di diritto, il requisito della “particolare gravità” non può coincidere con la recidiva in infrazioni punite con sanzioni conservative meno gravi, poiché ciò vanificherebbe la previsione contrattuale, traducendosi in un inammissibile trattamento deteriore. Pertanto, secondo i giudici di legittimità, la “particolare gravità” idonea a legittimare il licenziamento va integrata e motivata in relazione alle caratteristiche intrinseche, oggettive e soggettive, delle condotte elencate nella norma di cui al CCNL di riferimento, normalmente punibili con misure conservative. In conclusione, ad avviso della Suprema Corte, è erroneo ritenere legittimo il licenziamento per la “particolare gravità” della condotta, senza considerare le caratteristiche proprie della condotta tenuta dal lavoratore, basandosi, invece, soltanto sui precedenti disciplinari. Pertanto, pur rilevando, a prescindere dalla configurabilità della recidiva, la reiterazione della condotta con riferimento alla gravità del comportamento posto in essere dal lavoratore, occorre necessariamente tenere in considerazione le disposizioni disciplinari dei contratti collettivi.