La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20259 depositata il 14 luglio 2023, ha vagliato i limiti entro i quali risulta esigibile dal datore di lavoro la partecipazione del lavoratore part time a un corso di formazione quando tale corso si svolga in un orario lavorativo che non rientri in quello concordato. La risposta fornita dai giudici di legittimità a tale quesito è stata in senso favorevole all’azienda, avendo affermato che la richiesta datoriale di seguire un corso di formazione in orario corrispondente a quello astrattamente destinabile al lavoro supplementare è legittima e l’eventuale rifiuto opposto dal lavoratore deve essere fondato su comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale, da allegare e dimostrare, in applicazione del comma 2 dell’art. 6 del DLgs. 81/2015. Nel caso di specie si trattava, in particolare, di un corso di formazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Il lavoratore, dipendente a tempo parziale con orario di lavoro pari a 20 ore settimanali (dalle 6 alle 10, su 5 giorni lavorativi), si era più volte rifiutato di completare, in orario non corrispondente a quello concordato, la partecipazione al corso obbligatorio di formazione di base sulla sicurezza del lavoro, avendolo seguito solo parzialmente (per metà); il lavoratore si era poi dichiarato indisponibile rispetto a ben 6 convocazioni inviate dal datore di lavoro, ciò anche in relazione, si legge nella sentenza, a corsi organizzati ad hoc in orario previamente concordato con il difensore di fiducia del lavoratore medesimo. Pertanto, era scattato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, motivato con l’impossibilità per il datore di lavoro di avvalersi della prestazione lavorativa di un dipendente non formato. La Cassazione, per definire la controversia, è quindi partita dal presupposto che quanto richiesto dal datore di lavoro costituiva l’adempimento di un obbligo previsto dalla legge: si tratta dell’art. 37 comma 12 del DLgs. 81/2008 (Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), secondo cui “la formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, (...), durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori”. Considerato che tale disposizione non contiene ulteriori precisazioni, i giudici hanno ricondotto l’espressione “durante l’orario di lavoro” alla definizione di orario di lavoro di cui all’art. 1 comma 2 della L. 66/2003, secondo cui per orario di lavoro deve intendersi “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”. Quest’ampia formulazione è stata così intesa dalla Cassazione nel senso di ricomprendervi anche l’orario corrispondente a prestazioni lavorative comunque esigibili dal datore di lavoro, anche al di fuori dell’orario di lavoro ordinario o concordato. Tra le prestazioni esigibili nell’ambito di un contratto di lavoro a tempo parziale rientra il lavoro supplementare, vale a dire il lavoro prestato oltre l’orario di lavoro concordato fra le parti, ma entro il limite dell’orario normale di lavoro. Il lavoro supplementare trova l’attuale disciplina nel DLgs. 81/2015, il cui art. 6 comma 2 prevede che, nel caso in cui non sia disciplinato dal contratto collettivo applicato al rapporto, sia richiedibile dal datore di lavoro al lavoratore in misura non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate. In tale ipotesi, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare ove giustificato da comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale. Per la Suprema Corte l’indicata norma risulta applicabile al caso di specie, sia perché il rapporto di lavoro in questione risultava in essere alla data di entrata in vigore della nuova normativa di cui al DLgs. 81/2015, il cui art. 55 ha abrogato la previgente normativa in materia di lavoro a tempo parziale, contenuta nel DLgs. 61/2000, senza dettare – a differenza di altre ipotesi di abrogazione – una disciplina transitoria specificamente intesa a regolare detti rapporti, sia perché, sul presupposto dell’applicazione della nuova normativa, il lavoratore aveva negato che il contratto collettivo applicabile al rapporto contenesse previsioni sul lavoro supplementare. Il datore di lavoro era quindi legittimato a chiedere al lavoratore di completare la sua partecipazione per 4 ore (quindi, nel limite del 25% di 20 ore settimanali) a un corso formativo in materia di sicurezza, peraltro obbligatorio e di base, quindi destinato a fornire informazioni basilari assolutamente necessarie per svolgere la prestazione, che ove mancanti (anche solo in parte) non avrebbero potuto che rendere la prestazione inutilizzabile, con conseguente legittimità del licenziamento intimato.