È ammesso il ricorso contro l’avviso di presa in carico per far valere l’omessa notifica dell’accertamento esecutivo. Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 21254 depositata il 19 luglio 2023. I giudici di legittimità hanno enunciato il principio per cui è impugnabile l’avviso di presa in carico quando “sia il primo atto con cui si manifesta, palesandosi, un precedente provvedimento lesivo, che potrebbe essere espresso, tacito o anche presupposto”. Rimane un atto non impugnabile nell’ipotesi in cui non è il primo atto con cui si manifesta la pretesa, in tal caso l’avviso di presa in carico non avrebbe “capacità di incisione unilaterale sui profili sostanziali, né involge lesioni agli aspetti processuali, comportando limitazioni all’azione”. Sicché, spiega condivisibilmente la Suprema Corte, diverrebbe un atto estraneo alla categoria degli atti autonomamente impugnabili e “consentirne la ricorribilità significa avvallare la «retrodatazione» dell’interesse ad agire”. Si ricordi che a norma dell’art. 29 del DL 78/2010 gli accertamenti emessi in tema di imposte sui redditi, IVA e IRAP, sono esecutivi, ciò significa che l’accertamento assorbe la funzione del ruolo e diviene il titolo esecutivo in base al quale la pretesa può essere escussa mediante pignoramento. L’articolo suddetto prevede infatti al comma 1 lett. b) che decorso il termine utile per la proposizione del ricorso e ulteriori trenta giorni dal termine (in sostanza 90 giorni dalla notifica), le somme vengono affidate “in carico” all’agente della riscossione. Esso si limita, a questo punto, a informare il debitore di aver preso in carico le somme per la riscossione con raccomandata semplice o posta elettronica. L’avviso di presa in carico, quindi, non ha forza cogente in quanto è l’avviso di accertamento esecutivo che contiene anche l’intimazione ad adempiere. Per tale ragione l’impugnazione di detto atto viene ammessa solo nell’ipotesi in cui il contribuente non abbia ricevuto il presupposto avviso di accertamento esecutivo e per farne valere la sua omessa notifica. La decisione in commento pare riproporre, a livello processuale, il medesimo ragionamento che si pose per l’impugnazione della cartella di pagamento in occasione dell’estratto di ruolo per far valere la mancata notifica della cartella stessa: quale atto impositivo che, nella sequenza procedimentale imposta dal legislatore, deve necessariamente essere notificato. La Cassazione a Sezioni Unite n. 19704 del 2 ottobre 2015 ammise infatti “l’impugnazione” dell’estratto di ruolo per eccepire la mancata ricezione della prodromica cartella di pagamento. Tuttavia, con la modifica all’art. 12 del DPR 602/73 avvenuta col DL 146/2021, oggi è inibito il ricorso immediato avverso il ruolo e la cartella non validamente notificata salvo casi circoscritti, occorrendo quindi attendere la notifica di un atto successivo. La sentenza in commento recepisce l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito (C.T. Reg. Lazio n. 677/2021; C.T. Prov. Catania n. 17/2020; C.T. Prov. Roma n. 10588/2020; C.T. Reg. Abruzzo n. 957/2019) ritenendo impugnabile l’atto di presa in carico, nonostante non sia espressamente annoverato nell’elenco degli atti di cui all’art. 19 del DLgs. 546/92, se è il primo atto con cui si manifesta un precedente provvedimento lesivo, perché “tale provvedimento non avrebbe solo un contenuto informativo, ma anche funzione contestativa e sollecitatoria, e potrebbe dunque essere paragonato sul piano sostanziale a una intimazione di pagamento”. La legittimazione a impugnare quindi deriva dalla lesività insita nell’atto presupposto ignorato dal contribuente che si palesa con la presa in carico e non dall’atto in sé. Tale riconoscimento consente al contribuente di impugnare immediatamente tale atto ovvero l’accertamento esecutivo, senza attendere la notifica di un atto successivo già espressione della riscossione forzata (intimazione di pagamento, misure cautelari o pignoramento).