Secondo il principio dell’irriducibilità della retribuzione di cui all’art. 2103 c.c., nel corso del rapporto di lavoro, non si può legittimamente ridurre la retribuzione, comprensiva di tutte le voci dello stipendio collegate alle mansioni svolte e concordata al momento dell’assunzione, neppure a seguito di uno specifico accordo intervenuto tra le parti. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22401 depositata il 25 luglio 2023, aderendo a un indirizzo giurisprudenziale al quale si è, di recente, dato continuità. IL FATTO All’origine della questione affrontata dalla Suprema Corte, vi era l’eliminazione, da parte del datore di lavoro, della componente retributiva del superminimo prevista contrattualmente. Il lavoratore proponeva, quindi, ricorso nei confronti della società datoriale ai fini della declaratoria di nullità e/o di illegittimità, per violazione dell’art. 2103 c.c., dell’eliminazione del superminimo e della condanna del datore al pagamento delle differenze retributive maturate fino alla data di cessazione definitiva del rapporto di lavoro. A seguito del rigetto da parte del Tribunale, il dipendente proponeva appello innanzi alla Corte territoriale che, in riforma della pronuncia di primo grado, accoglieva l’impugnativa, in quanto il superminimo, concesso al lavoratore appellante, era del tutto svincolato dalle modalità estrinseche di svolgimento delle mansioni, oltre che parte integrante della retribuzione, alla quale si applica il principio di irriducibilità ex art. 2103 c.c. Di conseguenza, per i giudici di appello, il datore di lavoro non poteva legittimamente ridurre la retribuzione assegnata all’appellante nel corso del rapporto di lavoro, nemmeno a fronte dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti. Di diverso avviso, invece, la società datoriale che ricorreva per cassazione avverso la decisione di appello, reputando riducibile la retribuzione del lavoratore e rinunciabile il superminimo. A sostegno della propria tesi, la datrice di lavoro valorizzava l’accordo di rinuncia del dipendente ai superminimi. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Suprema Corte, confermando la decisione resa in appello, ha respinto il ricorso datoriale per inammissibilità. Con l’ordinanza in commento, la Cassazione ha rammentato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il principio di irriducibilità della retribuzione si applica a tutte le voci dello stipendio che siano collegate al contenuto delle mansioni svolte e alla professionalità del dipendente. È, invece, possibile ridurre quelle erogazioni retributive che trovano la loro causa non nel contenuto della mansione richiesta al lavoratore, bensì in modalità estrinseche di svolgimento delle medesime, che vengano meno con l’assegnazione al nuovo incarico. Nel caso in esame, come accertato dalla Corte di merito, il superminimo era stato concesso indistintamente a tutti i funzionari addetti alla vendita (ossia, a tutti i lavoratori nella medesima posizione del lavoratore parte del giudizio), senza che lo stesso fosse collegato a una specifica causale, divenendo una componente integrante della retribuzione. Pertanto, la Corte d’Appello aveva stabilito correttamente che la società datoriale non era legittimata a ridurre la retribuzione assegnata al lavoratore nel corso del rapporto di lavoro, nemmeno a seguito di accordo di rinuncia raggiunto tra le parti. In conclusione, la Cassazione, ribadendo il principio di irriducibilità della retribuzione, ha affermato che il livello retributivo acquisito dal lavoratore subordinato, garantito dall’art. 2103 c.c., va determinato con il computo della totalità dei compensi corrispettivi delle qualità professionali intrinseche alle mansioni del lavoratore, attinenti alla professionalità tipica della qualifica rivestita; diversamente, non sono ricompresi i compensi erogati per particolari modalità della prestazione lavorativa o collegati a specifici disagi o difficoltà, i quali non spettano ove vengano meno le situazioni in cui erano collegati. Nella vicenda di specie, il superminimo in questione era stato riconosciuto al dipendente quale funzionario addetto alla vendita, al pari degli altri lavoratori nella medesima posizione: lo stesso non rientrava tra le qualità estrinseche, essendo parte integrante della retribuzione, quindi non era riducibile né eliminabile neppure a seguito di accordo.