Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è reato di pericolo, eventualmente permanente, la cui consumazione si protrae per tutto il tempo in cui vengono posti in essere atti idonei a mettere in pericolo l’adempimento dell’obbligazione tributaria. Tale principio viene ribadito dalla sentenza n. 34139 depositata il 3 agosto 2023 dalla Corte di Cassazione. IL FATTO Nel caso in esame la condotta si è concretizzata nell’esecuzione di una pluralità di atti dispositivi o di diversa natura collegati tra loro, tutti finalizzati al raggiungimento del medesimo scopo fraudolento e, cioè, l’apparente depauperamento del patrimonio immobiliare del soggetto debitore verso l’Erario, al fine di rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. La fraudolenza è stata qui ravvisata nello stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione in una complessa operazione posta in essere con la costituzione di un fondo patrimoniale, gravato da vincolo di destinazione ai bisogni della famiglia, e la successiva conclusione di due contratti preliminari di vendita, aventi a oggetto gli immobili già confluiti nel fondo. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE I giudici di legittimità precisano che la fattispecie disciplinata dall’art. 11 del DLgs. 74/2000 è integrata dal porre in essere un’alienazione simulata (sia assoluta che relativa, sia oggettiva che soggettiva) o dal compimento di altri atti fraudolenti su beni propri o altrui. In particolare per “atti fraudolenti” devono intendersi tutti quei comportamenti che, quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione (Cass. nn. 29636/2018 e 25677/2012); tali atti devono anche essere idonei a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio, o comunque rendendo più difficoltosa, l’azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell’Erario (Cass. n. 35983/2020). Per costante giurisprudenza, il reato di sottrazione fraudolenta ha, pertanto, natura di pericolo nel senso della semplice idoneità (secondo un giudizio ex ante o prognostico) della condotta a pregiudicare la attività recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria. Ciò non presuppone come necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione coattiva in atto, ma soltanto la preesistenza del debito al cui inadempimento è finalizzata; neppure è necessaria la fondatezza della pretesa erariale (Cass. nn. 37178/2020, 19989/2020, 3011/2017, 13233/2016). Il delitto in questione si consuma nel momento e nel luogo in cui venga posto in essere qualsiasi atto che possa mettere in pericolo l’adempimento dell’obbligazione tributaria. Tale principio si riferisce però all’ipotesi in cui vi sia unicità dell’atto negoziale con il quale la parte aliena simulatamente i suoi beni e comunque pone in essere un atto di disposizione degli stessi al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Diversamente è a dirsi nell’ipotesi di un’attività più complessa e articolata sui propri o su altrui beni, idonea a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, come avvenuto nel caso in esame sopra descritto. Qui la condotta si articola in un complesso di atti dispositivi o di diversa natura collegati tra loro, tutti finalizzati al raggiungimento del medesimo scopo fraudolento. Il compimento di un unico atto di trasferimento, infatti, nella maggior parte dei casi può rivelarsi inidoneo al fine di sottrarre i beni che ne formano oggetto alle pretese del Fisco, essendo gli stessi agevolmente recuperabili tramite l’azione revocatoria, posta in essere nei loro confronti dall’Erario. Una pluralità di atti dispositivi rende invece più difficile l’individuazione del destinatario finale dei beni e il loro recupero. In tal caso, quindi, la fattispecie criminosa si perfeziona con l’ultimo degli atti posti in essere. Tale principio è stato ribadito da ultimo dalla Cassazione n. 28457/2021 in cui si è osservato, in particolare, che il delitto in esame può manifestarsi anche attraverso una pluralità di condotte, tutte realizzate allo scopo di depauperare il patrimonio del soggetto debitore verso l’Erario e in tal caso per individuare il momento di consumazione del reato, in una logica di evidente anticipazione della soglia del disvalore penale, strettamente legata, appunto, al mero pericolo, occorre farsi riferimento al primo momento di realizzazione della condotta finalizzata a eludere le pretese del Fisco. L’inizio della consumazione è rilevante per la determinazione della competenza territoriale (art. 8 comma 3 c.p.p.), mentre dall’ultimo atto diretto a eludere le pretese dell’Erario decorre il termine di prescrizione, a norma dell’art. 158 comma 1 c.p., il quale stabilisce che detto termine decorre “per il reato permanente, dal giorno in cui è cessata la permanenza”.