L’assenza ingiustificata del lavoratore subordinato costituisce una violazione disciplinare che può portare al licenziamento del lavoratore. La normativa vigente offre ai lavoratori dipendenti diversi strumenti da utilizzare in caso di necessità per assentarsi dal lavoro senza incorrere in un procedimento disciplinare (permessi retribuiti, congedi, ferie). L’assenza del lavoratore si definisce ingiustificata ogni volta che: non è motivata da cause oggettive; il lavoratore non dà il giusto preavviso al datore di lavoro, chi si assenta senza comunicarlo in anticipo, infatti, è colpevole di assenza ingiustificata anche se questa è fondata su un motivo valido. In mancanza di uno dei due requisiti, dunque, il datore di lavoro è legittimato ad avviare un procedimento disciplinare nei confronti del lavoratore. Procedimento disciplinare - In caso di assenza ingiustificata, il datore di lavoro è legittimato ad applicare una sanzione nei confronti del dipendente, in misura commisurata alla gravità della situazione. Nel dettaglio, le sanzioni disciplinari per il dipendente possono essere: rimprovero verbale; rimprovero scritto; multa; sospensione del servizio; trasferimento; licenziamento. Se particolarmente grave, dunque, l’assenza ingiustificata dal posto di lavoro può portare anche al licenziamento. In tal caso l’azienda deve prima presentare la contestazione dell’addebito, anche qualora sia lo stesso CCNL ad indicare l’assenza ingiustificata come un fattore che giustifica il licenziamento. Assenza ingiustificata per demansionamento - Una fattispecie atipica è costituita dal lavoratore che si rifiuti di prestare la propria attività a seguito di un demansionamento operato dal datore di lavoro. Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, il lavoratore deve piuttosto richiedere l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del suo demansionamento, con conseguente riconoscimento del diritto a essere riassegnato alle mansioni superiori che gli spettavano contrattualmente, continuando però nel frattempo a rendere la propria prestazione lavorativa. La sola adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita contrattualmente non può autorizzare il lavoratore a rifiutarsi a priori di eseguire la prestazione richiesta dal datore di lavoro, assentandosi dal posto di lavoro, senza un eventuale avallo giudiziario, che può essere accordato anche con un provvedimento d’urgenza in via cautelare, ex art. 700 c.p.c. Alla luce di quanto sopra, costituisce grave insubordinazione, come tale passibile del provvedimento disciplinare del licenziamento per giusta causa, il comportamento del lavoratore che si renda inadempiente, rifiutandosi di eseguire la propria prestazione, ritenendola estranea alla qualifica di appartenenza. Il lavoratore può rifiutarsi di ottemperare al provvedimento del datore di lavoro, in caso di assegnazione a mansioni evidentemente dequalificanti, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento di singole prestazioni lavorative che non siano conformi alla propria qualifica, ma non può rifiutare lo svolgimento di qualsiasi prestazione lavorativa. Abbandono e dimissioni di fatto - La disciplina attuale, che prevede l’obbligo della procedura telematica per la comunicazione delle dimissioni da parte del lavoratore dipendente non disciplina in alcun modo il caso delle dimissioni per fatti concludenti: qualora il lavoratore non adempia ai passaggi procedimentali previsti per le dimissioni telematiche, il rapporto di lavoro non può essere risolto. L’unico mezzo a disposizione del datore di lavoro per porre fine al rapporto di lavoro è il licenziamento disciplinare: a tal fine il datore di lavoro dovrà: verificare la durata dell’assenza; provvedere a contestarla; attendere le eventuali giustificazioni per il tempo previsto dalla legge; comunicare il licenziamento per assenza ingiustificata. Sul datore di lavoro viene a gravare inoltre il costo del contributo di ingresso alla NASpI dovuto per le interruzioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nei casi di licenziamenti effettuati nell’ambito di procedure di licenziamento collettivo. Ne deriva che, per ciascun licenziamento effettuato nell’ambito di un licenziamento collettivo da parte di un datore di lavoro tenuto alla contribuzione per il finanziamento dell’integrazione salariale straordinaria, l’aliquota percentuale per il calcolo del ticket di licenziamento è fissata all’82 per cento del massimale mensile NASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale. L’effetto di tale “distorsione giuridica” è reso ancora più grave dalla conseguenza “premiale” per il lavoratore dovuta al fatto che l’inerzia del lavoratore che non intende proseguire il rapporto di lavoro gli consente di godere del trattamento di Naspi poiché reputato in uno stato di disoccupazione involontaria, causato dal licenziamento e non dalle sue dimissioni. Urge in tal senso un intervento correttivo da parte del legislatore.