Sismabonus, sulla demolizione il condòmino non può cambiare idea. Il singolo che presta il consenso alla demolizione del proprio appartamento privato in assemblea condominiale per consentire tale intervento edilizio in relazione all'intero edificio, con accesso al Sismabonus, è obbligato a rilasciare la propria unità immobiliare al condominio per procedere con l'operazione. Sull'impegno assunto, infatti, non può tornare indietro, perché il proprio assenso è un atto unilaterale recettizio che per legge non può essere revocato se non per mutuo consenso (art. 1324 cc). È quanto stabilito dal tribunale di Sulmona nella sentenza n. 179/23, con la quale conferma una precedente ordinanza che imponeva a una condòmina il rilascio in via d'urgenza dell'immobile di proprietà esclusiva. IL FATTO Il caso riguarda un condominio che regolarmente ha deliberato per la demolizione e riedificazione del fabbricato agevolando l'intervento edilizio con il Sismabonus (dl 63/2013, art. 16 e ss.), la detrazione prevista per le ristrutturazioni con efficientamento sismico. L'accesso a tale agevolazione è consentito anche in caso di demolizione e ricostruzione, come è nel caso di specie, in cui “la delibera è stata adottata in considerazione di esigenze anche statiche (e la demolizione con successiva ricostruzione è stata scelta quale soluzione tecnicamente più agevole per l'adeguamento sismico)”. Un tale intervento, chiaramente, non investe solo le parti del condominio di proprietà comune, ma inevitabilmente comporta la distruzione delle singole unità di proprietà esclusiva dei condòmini. Pertanto, all'interno della deliberazione assembleare che ha votato i lavori, sono contenute anche le disposizioni di assenso dei singoli condòmini alla demolizione del proprio appartamento, come emerge dal verbale. Successivamente alla sottoscrizione dello stesso, però, una condòmina ha “comunicato al condominio la revoca del consenso”. LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI SULMONA Il tribunale di Sulmona ha valutato che tale revoca “non può ritenersi efficace”. Spiega il giudice, il via libera dato dal singolo condòmino non fa parte di per sé dell'oggetto della deliberazione assembleare, dato che dispone “di porzioni dell'edificio in proprietà esclusiva, ciò che esula dalla competenza dell'organo deliberativo, in cui rientra, invece, il potere di deliberare l'esecuzione dei lavori di radicale ristrutturazione [...] dell'intero edificio, naturalmente subordinata all'autorizzazione dei singoli proprietari alla distruzione della propria porzione esclusiva”. Secondo la ricostruzione del tribunale, tale autorizzazione, quando espressa in un verbale d'assemblea, consiste nella “assunzione unilaterale di un impegno [...] a contenuto patrimoniale”, con la conseguenza di rappresentare un “negozio rivolto a soggetti determinati (gli altri condomini), sicché non può ritenersi efficace alcuna revoca unilaterale di esso”. Richiamando la giurisprudenza, il tribunale ricorda che agli atti unilaterali recettizi si applicano le stesse norme che regolano i contratti (art. 1324) e producono effetti quando giungono a conoscenza delle persone cui sono destinati, in questo caso i condòmini. Per “rimangiarsi” un simile impegno, appare che la strada sia solo quella di una revoca mutualmente condivisa anche dagli altri soggetti o quella di far valere le cause di decadenza del contratto, quali i vizi della volontà.