L'attività di accertamento non può protrarsi all'infinito. Così la legge delega di riforma fiscale n. 111/2023 che, nel fissare i criteri direttivi in materia di procedimento accertativo, prevede l'adozione di una misura atta a definire il termine di decadenza dell'accertamento tributario, con riferimento ai componenti di reddito a efficacia pluriennale e alle perdite fiscali. L'indicazione fornita dal parlamento è quella di far decorrere il termine decadenziale di cui all'articolo 43, decreto del Presidente della Repubblica 600/1973 dal periodo d'imposta nel quale si è verificato il fatto generatore e non da quello in cui il componente reddituale, ovvero la perdita, viene fatta concretamente rilevare ai fini della determinazione del reddito di periodo. Sia la norma che la relazione illustrativa giustificano l'intervento normativo con l'esigenza di evitare una indefinita dilazione del termine di accertamento (situazione che inficia la certezza del diritto) nonché di procrastinare sine die l'obbligo di conservazione delle scritture contabili e dei supporti documentali atti a corroborare certe valutazioni fiscali. Il Governo sarà chiamato a dare soluzione – in un'ottica pro-contribuente, stando ai principi della delega – ad un tema delicato (e complesso) di cui si discute da tempo, tornato prepotentemente alla ribalta con la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione numero 8500 del 25 marzo 2021. In tale sede, i giudici avevano assunto un approccio contrario a quello che dovrà seguire il governo. Secondo la Cassazione, l'amministrazione finanziaria può contestare sia i presupposti che i valori di iscrizione di un componente reddituale (positivo e negativo) avente effetti fiscali di durata ultrannuale, fino allo spirare dei termini di accertamento relativi alla dichiarazione in cui la singola porzione o rateo di tale componente reddituale ha assunto rilevanza. A nulla rileverebbe la mancata contestazione nel periodo d'imposta in cui tale componente risulti iscritto per la prima volta in bilancio, né il fatto che il relativo termine di accertamento sia medio tempore decorso. Per i giudici, qualora gli effetti fiscali di un componente reddituale vengano “parcellizzati” su più periodi d'imposta, sia perché previsto dalla legge sia per scelta del contribuente, in ciascuno di essi, è ammessa la sindacabilità da parte dell'amministrazione finanziaria, con riferimento, ad esempio, al requisito dell'inerenza e al costo fiscale originario. A ciò si aggiunga che, applicando lo stesso metro di valutazione alle perdite fiscali, queste possono formare oggetto di accertamento fiscale non già con riferimento al periodo d'imposta in cui sono maturate, bensì in quello in cui sono utilizzate in compensazione dei redditi. E in tal caso, è bene ricordarlo, si metterebbe in discussione non già una componente reddituale, ma l'intera modalità di determinazione del reddito d'impresa del periodo. La citata sentenza ha suscitato perplessità, proprio per le ragioni che ora ne hanno indotto una regolamentazione in sede di delega fiscale (dilatazione quasi ipertrofica dei termini di accertamento e previsione di obblighi “monstre” di conservazione documentale). Un ulteriore aspetto che va evidenziato (e che spesso si dimentica) è che un termine di accertamento dilatato inficia anche le prerogative e i rapporti di forza delle parti in causa, dato che, il passare del tempo permette all'amministrazione finanziaria di godere di un “vantaggio competitivo” garantito dal poter disporre di maggiori argomenti interpretativi (che maturano negli anni) rispetto a quelli disponibili ai contribuenti, nel momento in cui operare certe valutazioni e scelte interpretative. Per quanto il principio sancito dalla delega possa apparire semplice, l'attuazione può risultare complessa, giacché si dovranno necessariamente tener conto delle diverse esigenze (di certezza del diritto e di tutela degli interessi erariali) che verosimilmente poi convergeranno verso una soluzione di compromesso.