Con le sentenze nn. 25383 e 25384 del 29 agosto 2023, la Corte di Cassazione è intervenuta in merito all’interpretazione dell’art. 10 comma 1 lett. c) del TUIR, norma in base alla quale sono deducibili “gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria”. Proprio il riferimento agli “assegni periodici” risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria ha fatto propendere, in dottrina e in giurisprudenza, per l’esclusione della deducibilità degli assegni una tantum, seppur elargiti in via rateizzata. Le sentenze in commento si allineano a tale filone interpretativo, analizzando però i riflessi internazionali di tali attribuzioni tra ex coniugi. IL FATTO Il caso sottoposto all’attenzione delle nuove pronunce riguarda, infatti, il trattamento fiscale della somma risultante dalla sentenza di separazione di due coniugi, entrambi residenti in Spagna. La stessa sentenza di separazione disponeva la corresponsione da parte del marito di una somma una tantum, da versare ratealmente nel corso di 6 anni. Dopo la separazione, il coniuge debitore trasferiva il domicilio in Italia e versava una rata dell’assegno divorzile, tassato in Spagna in capo al coniuge percipiente, in quanto assimilato a un reddito di lavoro dipendente (in Italia, invece, la somma non sarebbe stata imponibile in quanto l’art. 50 comma 1 lett. i) del TUIR assoggetta a tassazione i soli assegni periodici e non gli assegni una tantum). La controversia riguarda la deducibilità di tale somma da parte del coniuge divenuto residente in Italia. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Suprema Corte, nel fornire risposta negativa, valorizza, in primo luogo, il tenore letterale del dettato normativo (art. 10 comma 1. lett. c) del TUIR), il quale, ponendo esplicito riferimento agli assegni periodici, esclude la deducibilità degli assegni una tantum. Inoltre, considerato che nel caso di specie i soggetti partecipanti alla transazione sono residenti in due Stati diversi non potrebbe essere invocato il principio di simmetria (volto, sul piano interno, a garantire la deducibilità delle somme che sono considerate imponibili in capo al percipiente), in quanto lo stesso non varrebbe nei rapporti tra due diversi ordinamenti sovrani. Ne consegue che, in mancanza di una specifica disposizione convenzionale sul punto, si applica l’art. 10 comma 1, lett. c) del TUIR che esclude la deducibilità dell’assegno una tantum. Né, evidenzia la Suprema Corte, risulta conferente invocare l’eventuale contrasto con i principi comunitari della non discriminazione in ragione della nazionalità e della libera circolazione delle persone. Infatti, da un lato, l’ordinamento dell’Ue non impone l’uniformità del trattamento fiscale nei diversi Paesi, né impone il coordinamento dei regimi fiscali allo scopo di evitare tutte le possibili forme di doppia imposizione economica; dall’altro, l’indeducibilità della rata di assegno una tantum non concretizza un ostacolo alla libera circolazione delle persone da un Paese nel quale quella deduzione sarebbe possibile a un altro (nella specie, l’Italia), nel quale, in base alla legislazione vigente, quella deduzione non è consentita. Ad avviso della Suprema Corte, non si comprende in quali termini possa configurarsi l’eventuale discriminazione, posto che il contribuente che non può portare in deduzione l’assegno una tantum versato in favore del coniuge residente all’estero non verrebbe discriminato rispetto agli altri casi, posto che l’art. 10 comma 1 lett. c) del TUIR non consente a nessun residente in Italia di dedurre l’assegno una tantum. Tale disposizione generale, che non conosce deroghe, risponde, ad avviso della Corte di Cassazione, ad una scelta di politica fiscale, non sindacabile in via giurisdizionale. La situazione esaminata diverge quindi da quella oggetto della sentenza della Corte di Giustizia europea del 12 luglio 2005, causa C-403/03, la quale verteva sulla compatibilità con i principi comunitari della legislazione tedesca per cui il soggetto residente in Germania non poteva dedurre gli assegni familiari versati all’ex moglie residente in Austria, mentre avrebbe potuto farlo qualora la stessa fosse stata residente in Germania. In tale contesto, il richiamo al contrasto con i principi comunitari era stato ritenuto conferente, in quanto l’esercizio del diritto di libera circolazione da parte della moglie è tale da influire sulla possibilità per il coniuge di fruire di un vantaggio fiscale. Infatti, il diritto tedesco subordinava la deducibilità, in capo ad un residente in Germania, degli assegni versati all’ex coniuge residente in un altro Stato alla circostanza che le stesse fossero imponibili all’estero (circostanza non verificata nel caso esaminato dalla CGUE in quanto il diritto austriaco escludeva l’imposizione sugli assegni alimentari nonché, del resto, la deduzione dei versamenti effettuati a tale titolo). La CGUE concludeva comunque per il non contrasto della illustrata disposizione con i principi comunitari.