La prescrizione della prima intimazione di pagamento consente di impugnare la seconda

È possibile ricorrere avverso la seconda intimazione di pagamento in luogo della prima intimazione che ha perso efficacia per mancato inizio dell’espropriazione forzata. Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 21658 del 20 luglio 2023, che vedeva l’Amministrazione finanziaria ricorrente sollevare l’eccezione di inammissibilità del ricorso per la mancata impugnazione della prima intimazione di pagamento con conseguente cristallizzazione della pretesa tributaria. L’intimazione ad adempiere è un atto impositivo emesso dell’Agente della riscossione disciplinato dall’art. 50 del DPR 602/73: essa perde efficacia se, entro un anno dalla notifica, l’espropriazione, ovvero la notifica del pignoramento, non avviene. Si ricorda che il periodo di efficacia dell’intimazione è stato esteso da 180 giorni a un anno dall’art. 26 comma 18 del DL 76/2020. Tuttavia, l’eventuale inutile decorso del termine non impedisce l’esecuzione, ma esige la notifica di una nuova intimazione di pagamento. Come ogni atto autonomamente impugnabile può essere censurato solo per vizi propri, dunque non è possibile sindacare il merito della pretesa contenuto negli atti presupposti, salvo il caso in cui si eccepisca l’omessa la notifica dell’atto presupposto (cartella di pagamento, accertamento esecutivo). Nel caso deciso, invece, la Cassazione ha riconosciuto l’impugnabilità della seconda intimazione di pagamento, per eccepire la prescrizione del credito erariale, preceduta da una intimazione inopposta e caducatasi per mancato avvio dell’esecuzione ex art. 50 comma 3 del DPR 602/73: viene così affievolito il principio di autonomia degli atti impugnabili, che circoscrive l’impugnazione ai vizi propri del provvedimento. I giudici hanno spiegato che tale ipotesi è diversa dalla notifica dell’intimazione di pagamento successiva alla notifica della cartella di pagamento per cui non sia iniziata l’esecuzione nel termine di un anno ex art. 50 comma 2 del DPR 602/73. Nell’assetto esistente prima della riforma del DLgs. 46/99 (ove la funzione della cartella di pagamento era attribuita, in sostanza, all’avviso di mora), però, la Cassazione era giunta a un diverso arresto. Con la pronuncia n. 3231 del 17 febbraio 2005 la Suprema Corte ha sostenuto che, ove il concessionario della riscossione notifichi più avvisi di mora, il contribuente deve necessariamente impugnare il primo avviso di mora (in tale caso la contestazione concerneva l’omessa notifica dell’atto presupposto). La mancata impugnazione del primo avviso di mora, quindi, rendeva inoppugnabile sia l’avviso di mora stesso, sia gli atti a esso presupposti non notificati o irritualmente notificati, precludendo l’impugnazione dei successivi avvisi di mora. L’avviso di mora riuniva in sé le funzioni di precetto e di primo atto di imposizione; invece, nel sistema attuale, la funzione di atto impositivo è stata assorbita dalla cartella di pagamento. Per cui si potrebbe convenire con il ragionamento dei giudici che hanno escluso tale possibilità nell’ipotesi di notifica dell’intimazione di pagamento successiva alla cartella di pagamento non seguita dall’esecuzione entro l’anno, ipotesi diversa dalla notifica dell’intimazione di pagamento rinnovata dopo l’anno per caducazione della prima. Nel caso in esame il ricorso era fondato sulla prescrizione del credito erariale: la Corte, nel cassare la sentenza con rinvio, ha rimesso detta questione alla Corte di giustizia di secondo grado ai fini della valutazione dell’esatto termine di prescrizione rispetto però alla prima intimazione di pagamento.

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