Con la risposta n. 432 del 19 settembre 2023, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in riferimento al carried interest e alla qualificazione come reddito di natura finanziaria in conformità alla disposizione di legge (articolo 60 decreto legge 24 aprile 2017 n. 50). Il comma 1 dell'articolo 60 prevede che i «proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio, percepiti da dipendenti ed amministratori di tali società, enti od organismi di investimento collettivo del risparmio ovvero di soggetti ad essi legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati», si considerano, al ricorrere di determinati requisiti, «in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi». La presunzione in questione, operante ope legis, è applicabile in presenza delle condizioni individuate dal medesimo articolo, comma 1, lettere a), b) e c), ovvero: «a) l'impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori di cui al presente comma, comporta un esborso effettivo pari ad almeno l'1 per cento dell'investimento complessivo effettuato dall'organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti; b) i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che danno isuindicati diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all'organismo di investimento collettivo delrisparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell'investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo; c) le azioni, le quote o gli strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti dai dipendenti e amministratori di cui al presente comma, e, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione». Come chiarito dalla relazione illustrativa al citato decreto legge n. 50 del 2017, la sussistenza dei richiamati requisiti è garanzia di un allineamento fra i manager e gli altri investitori in termini di interesse alla remunerazione dell'investimento e di rischio di perdita del capitale investito, ovvero la ratio dell'assimilazione dei proventi in argomento ai redditi di natura finanziaria. La norma in esame prevede espressamente che l'ammontare minimo dell'investimento debba essere parametrato non ad un progetto con investimenti multipli, ma agli importi impegnati dall'organismo di investimento collettivo del risparmio o con il patrimonio netto dell'emittente, nel caso di società o enti. Inoltre, come chiarito dall'Amministrazione finanziaria con la circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E, le advisory company, sebbene non abbiano capacità decisionale sugli investimenti, e quindi responsabilità diretta, intervengono sulle strategie di investimento e sulle relative scelte fornendo un supporto alla gestione che ne condiziona le decisioni. L'estensione dell'ambito soggettivo di applicazione, invece, non può includere anche soggetti che forniscano servizi di supporto alle advisor company in quanto viene meno il nesso tra le scelte strategiche del management ed il risultato atteso dagli investitori che costituisce la ratio della presunzione legale in commento. L'eventuale detenzione di strumenti finanziari aventi le medesime caratteristiche da parte di altri soci (oltre al management team), nonché la presenza di una adeguata remunerazione per l'attività lavorativa svolta da parte dei manager possono fungere da validi indicatori della natura finanziaria del reddito in questione. Altresì, ulteriori criteri utili a suffragare tale valutazione risiedono nell'idoneità dell'investimento, anche in termini di ammontare assoluto, a garantire l'allineamento di interessi tra investitori e management e nella conseguente esposizione di quest'ultimo al rischio di perdita del capitale investito. Se tale caratteristica può costituire un indice della natura finanziaria del provento, pattuizioni che incidano negativamente sulla posizione di rischio dei manager mal si conciliano con la qualificazione dello stesso come reddito di capitale o diverso. La citata circolare n. 25/E ha precisato che l'eventuale presenza di clausole di leavership, che condizionino la distribuzione dei proventi all'esistenza del rapporto di lavoro, può costituire un elemento suscettibile di attrazione di detti emolumenti nella relativa categoria del reddito di lavoro dipendente, ma la strutturazione di un adeguato meccanismo di vesting, volto a garantire una graduale e permanente titolarità delle quote sottoscritte proporzionale al periodo di detenzione delle stesse, può rappresentare una meritevole condizione positiva per l'assoggettamento dei proventi connessi alle quote speciali ai redditi di natura finanziaria.