La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27353 del 26 settembre 2023, si è pronunciata sul particolare caso di un lavoratore con mansioni di magazziniere addetto alla cella frigorifera che è stato licenziato in quanto indebitamente appropriatosi di beni aziendali di esiguo valore, nello specifico di una forma di caciotta da 2 kg. e di un trancio di prosciutto da 500 gr. In secondo grado la Corte d’appello ha ritenuto che, sebbene il fatto contestato al lavoratore fosse passibile di licenziamento secondo il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro, la sanzione espulsiva non era proporzionata, anche in considerazione dell’esiguo valore dei beni sottratti. Ne è derivata l’applicazione della tutela risarcitoria di cui al comma 5 dell’art. 18 della L. 300/70. I giudici di legittimità, con l’ordinanza in commento, avendo l’azienda contestato la ritenuta non proporzionalità della massima sanzione espulsiva nel caso concreto, hanno confermato la correttezza di tale decisione sulla base di una serie di considerazioni. In primis, la Cassazione precisa che la valutazione della non proporzionalità della sanzione espulsiva operata dai giudici di merito non si è esaurita nella constatazione della tenuità del valore dei beni rubati, avendo i giudici invece anche considerato, sulla base delle prove raccolte in giudizio, l’intero svolgimento dei fatti. È stato così evidenziato che il lavoratore, pur lavorando in azienda dal 1999, non aveva mai ricevuto contestazioni per episodi analoghi (del resto, l’azienda stessa, nel relativo procedimento disciplinare, non aveva nemmeno contestato alcuna recidiva). Inoltre, le grandi dimensioni dell’impresa nonché la tipologia delle mansioni svolte dal dipendente – il quale non era un addetto alla sicurezza, occupandosi di verificare, in qualità di magazziniere, lo stato della merce nella cella frigorifera – avevano condotto all’esclusione di una lesione del vincolo fiduciario tra le parti. Sul punto si ricorda, del resto, che la Suprema Corte ha già affermato in passato che ai fini della legittimità del licenziamento la gravità del fatto contestato al lavoratore non va valutata (solo) in relazione alla tenuità del danno patrimoniale subìto dal datore di lavoro, bensì in relazione alla condotta del medesimo sotto il profilo della correttezza dei futuri comportamenti e del vincolo fiduciario con il datore di lavoro (cfr. Cass. n. 8816/2017, Cass. n. 24014/2017, Cass. n. 5542/2020). Accertata, quindi, la non proporzionalità della sanzione irrogata, i giudici, sulla base del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità formatosi sul punto, hanno poi ritenuta corretta anche l’applicazione della tutela risarcitoria c.d. forte di cui al comma 5 dell’art. 18 della L. 300/70 e non la tutela reintegratoria di cui al precedente comma 4, ciò in quanto la condotta contestata al lavoratore non risultava essere sussumibile in alcuna delle fattispecie per cui il contratto collettivo applicato preveda l’irrogazione di una sanzione conservativa, ricadendo quindi il difetto di proporzionalità tra le “altre ipotesi” menzionate dal citato art. 18 comma 5 dello Statuto dei lavoratori. Infatti, precisano i giudici, solo quando il fatto contestato e accertato sia contemplato da una norma negoziale vincolante e tipizzato come punibile con una sanzione conservativa va disposta la tutela reintegratoria di cui al comma 4, norma che espressamente richiama, tra le varie ipotesi elencate, anche quella in cui venga accertata l’insussistenza degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro in quanto “il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili” (cfr. Cass. n. 19585/2021). Quando, dunque, invece, lo scollamento tra la gravità della condotta realizzata e la sanzione adottata non risulti dalle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili, che alla stessa facciano corrispondere una sanzione conservativa, tale sproporzione è da ricondurre nelle “altre ipotesi” in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali il comma 5 dell’art. 18 prevede il pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, indennità determinata nel caso di specie in 15 mensilità.