Con la sentenza n. 36849 depositata il 6 settembre 2023, la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il tema della valenza probatoria delle presunzioni nel procedimento penale ribadendo, nel solco del consolidato orientamento, che le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono assurgere di per sé a prova della commissione di un reato, assumendo piuttosto il valore di dati di fatto liberamente apprezzabili dal giudice penale che necessitano, tuttavia di riscontri idonei a fornire certezza dell’esistenza della fattispecie criminosa. La decisione in commento, dunque, esclude l’automatica trasposizione nel processo penale delle presunzioni tributarie, con specifico riferimento alle presunzioni afferenti alle movimentazioni bancarie, che trovano disciplina nell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973. Al di là delle conclusioni, peraltro motivate in modo forse affrettato in ragione dell’assenza di elementi di novità nel principio applicato dai giudici (cfr. ex multis Cass. Pen., sentenza 18 aprile 2016, n. 15899; Cass., sentenza 22 dicembre 2020, n. 36915), la decisione della Corte di Cassazione fornisce lo spunto per analizzare i rapporti tra accertamento tributario e processo penale alla luce delle indicazioni che si rinvengono nella legge delega per la riforma del sistema fiscale. La previsione della delega fiscale Nel testo in vigore dal 29 agosto 2023, invero, la delega per la revisione del sistema tributario, all’art. 20, comma 1, lettera a) n. 3), impone al Governo un ripensamento dei “rapporti tra il processo penale e il processo tributario prevedendo, in coerenza con i princìpi generali dell’ordinamento, che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi e adeguando i profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di applicazione di circostanze attenuanti all’effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all’esercizio dell’azione penale”. Doppio binario tra processo penale e tributario Sino ad oggi tra procedimento di accertamento dei tributi e processo penale vi è stata una netta separazione, determinata dalla incomunicabilità delle rispettive risultanze nonché dalla previsione espressa di esclusione di qualsiasi rapporto di pregiudizialità tra il processo penale e quello tributario (l’art. 20, D.Lgs. n. 74/2000, sancisce infatti che “il procedimento amministrativo di accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione”). Il sistema è quello del c.d. “doppio binario”, che sottende l’autonomia del processo tributario e del processo penale. Tale assetto ha generato non poche distorsioni laddove i contribuenti si sono spesso trovati a soccombere nel processo tributario, ove l’uso delle presunzioni - talvolta molto difficili da superare - è largamente ammesso, pur ottenendo al contrario piena assoluzione dai capi di imputazione penale per i reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74/2000 connessi ai medesimi fatti. Inoltre, l’impossibilità di sospendere ai sensi dell’art. 295 c.p.c. il procedimento tributario in attesa della conclusione del processo penale, caratterizzato per una maggiore delicatezza dei diritti in gioco e - pertanto - per una correlata maggiore rigorosità nell’accertamento dei fatti idonei a integrare gli estremi di un reato, impedisce il trasferimento dal processo penale di elementi anche solo potenzialmente valutabili in forma critica dal giudice tributario. Non sono mancate, pure di recente, sollecitazioni per un progressivo superamento del principio del doppio binario, o quanto meno tentativi di assottigliare la distanza tra i due procedimenti attraverso l’affermazione di un vincolo in capo al giudice tributario agli esiti di un processo penale ove i fatti presi esplicitamente in esame nelle due sedi siano i medesimi (cfr. Cass., sentenza 2021 n. 25632). Si è trattato, tuttavia, di occasioni isolate che non hanno trovato seguito e che, a ben vedere, si ponevano in totale rottura con l’orientamento consolidato secondo il quale “in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall'art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l'imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l'atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 16262 del 28/06/2017)”: in questi termini si esprimeva la Cassazione, con ordinanza 27 settembre 2019, n. 30941, le cui statuizioni possono ritenersi valide anche successivamente alle modifiche al sistema probatorio nel processo tributario, entrate in vigore ormai un anno fa per effetto della riforma portata dalla legge n. 130/2022, e in particolare alla ammissibilità della prova testimoniale prevista dal nuovo comma 4 dell’art. 7, D.Lgs. n. 546/1992. Come anticipato, la rigidità dell’impostazione ancor oggi vigente pare destinata a profonde modifiche in attuazione della delega per la riforma fiscale: la norma portata dall’articolo 20 del disegno di legge delega apre, infatti, la strada a un più equilibrato assetto nei rapporti tra i due procedimenti tendendo verso un rinnovato vincolo per il giudice tributario agli esiti del giudizio penale in ottica di maggiore e concreta garanzia per l’imputato-contribuente.