I giudici della Corte Ue, nella causa C-249/22 del 26 ottobre 2023, ritengono non in conflitto con il diritto unionale una disciplina nazionale che consenta di continuare ad assoggettare all’Iva il canone sulla programmazione e sulla radiodiffusione, in attuazione di una norma di deroga al sistema Iva. Sono i temi della controversia fra una contribuente e l’autorità preposta alla riscossione del canone, nell’ambito della quale la prima chiedeva il rimborso delle somme versate, la seconda il versamento dell’Iva. IL FATTO La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone una contribuente all’autorità su cui incombe la riscossione del canone sulla radiodiffusione e del canone sulla programmazione, in relazione ad una richiesta della prima diretta al rimborso, da parte della seconda, dell’Iva sul canone sulla programmazione. La contribuente è registrata presso tale autorità come utente di servizi di radiodiffusione, in un’area coperta dalla radiodiffusione digitale terrestre dei programmi, la cui ricezione è possibile tramite antenna interna. La questione sorta è approdata dinanzi alla competente autorità giurisdizionale che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue alcune questioni con cui chiede di conoscere se l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), e l’articolo 378, paragrafo 1, della direttiva Iva, in combinato disposto con l’articolo 151, paragrafo 1, e l’allegato XV, parte IX, punto 2, lettera h), primo comma, secondo trattino, dell’atto di adesione, debbano essere interpretati nel senso che ostano a che lo Stato austriaco assoggetti a Iva un’attività di radiodiffusione pubblica, finanziata mediante un canone legale obbligatorio e versato da chiunque utilizzi un impianto di ricezione di radiodiffusione all’interno di un edificio situato in un’area coperta dalla radiodiffusione terrestre dell’ente pubblico di radiodiffusione interessato. LA DECISIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE La Corte Ue osserva che secondo una giurisprudenza costante, le operazioni imponibili presuppongono l’esistenza di un negozio giuridico tra le parti che implica la stipulazione di un prezzo o di un controvalore. Pertanto, quando l’attività di un prestatore consista nel fornire esclusivamente prestazioni senza corrispettivo diretto, non vi è base imponibile e tali prestazioni non sono, quindi, soggette all’Iva. Ne deriva che una prestazione di servizi è effettuata “a titolo oneroso”, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva Iva, ed è, pertanto, imponibile soltanto quando tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, in cui il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario. In tale contesto, la Corte ha ripetutamente statuito che la nozione di “prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso”, ai sensi di tale articolo 2, paragrafo 1, lettera c), presuppone l’esistenza di un nesso diretto tra il servizio prestato e il controvalore ricevuto. Quando un’attività è qualificata come operazione effettuata “a titolo oneroso”, sulla base di tale disposizione, essa rientra, a tale titolo, nell’ambito di applicazione della direttiva Iva. Per contro, un’attività che non è qualificata come tale non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva. Benché l’articolo 132, paragrafo 1, lettera q), della direttiva Iva preveda l’esenzione delle “attività degli enti radiotelevisivi di diritto pubblico diverse da quelle aventi carattere commerciale”, tale disposizione è tuttavia applicabile solo a condizione che tali attività siano soggette a Iva, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della stessa direttiva, e non può essere interpretata in modo da estendere l’ambito di applicazione della medesima, quale definito dal citato articolo 2. Tuttavia, l’articolo 378, paragrafo 1, della direttiva Iva, che riflette l’allegato XV, parte IX, punto 2, lettera h), primo comma, secondo trattino, dell’atto di adesione, consente all’Austria di derogare a tali disposizioni attribuendo allo Stato membro la facoltà di continuare ad assoggettare ad imposta le operazioni di cui all’allegato X, parte A, punto 2, di tale direttiva, che si riferisce alle attività degli enti radiotelevisivi di diritto pubblico diverse da quelle aventi carattere commerciale. Infatti, il mantenimento di tale regime derogatorio riflette il carattere progressivo e ancora parziale dell’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di Iva. La prevista armonizzazione non è stata ancora realizzata in quanto disposizioni derogatorie, come l’articolo 378 della direttiva Iva, autorizzano gli Stati membri a lasciare in vigore disposizioni della loro normativa nazionale che, senza queste autorizzazioni, sarebbero incompatibili con la direttiva. Ciò premesso, la facoltà prevista all’articolo 378, paragrafo 1, della direttiva Iva è concessa a titolo di deroga, in applicazione dell’articolo 151, paragrafo 1, e dell’allegato XV, parte IX, punto 2, lettera h), primo comma, secondo trattino, dell’atto di adesione, fatto salvo il rispetto delle condizioni specifiche di tali disposizioni. Per l’interpretazione di una disposizione del diritto unionale, si deve tener conto del tenore letterale della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte. Inoltre, sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale, quando una disposizione del diritto dell’unione è suscettibile di più interpretazioni, occorre privilegiare quella idonea a salvaguardare il suo effetto utile. Nel caso di specie, per quanto riguarda il tenore letterale dell’articolo 378, paragrafo 1, della direttiva Iva, tale disposizione, in combinato disposto con l’allegato X, parte A, punto 2, della direttiva, autorizza l’Austria a continuare ad assoggettare ad imposta le attività degli enti radiotelevisivi di diritto pubblico diverse da quelle aventi carattere commerciale. Pertanto, l’Austria è autorizzata a mantenere un sistema di imposizione delle attività già esistente e non ad introdurre una nuova imposizione di tali attività. Nei limiti in cui tale disposizione riguarda specificamente l’imposizione di tali attività da parte dell’Austria alla data della sua adesione all’unione, le modalità di tale imposizione a partire da tale data devono essere rimaste sostanzialmente immutate affinché l’imposizione in parola continui ad essere coperta dalla deroga prevista all’articolo 378, paragrafo 1, della direttiva Iva. A tal proposito, la normativa nazionale che prevede il canone sulla programmazione è stata modificata nel 2011: adesso tale canone deve essere pagato a condizione che il luogo di ricezione dell’utente si trovi in un’area coperta dalla radiodiffusione terrestre, anche qualora l’utente non abbia effettuato l’adeguamento minimo necessario del suo impianto per poter ricevere le trasmissioni televisive digitali. Tale modifica legislativa si è limitata a tener conto delle innovazioni tecnologiche intervenute nel frattempo, senza modificare l’evento generatore dell’obbligo di versare il canone sulla programmazione rispetto a quello che era alla data di adesione dell’Austria all’unione. Per quanto riguarda l’obiettivo perseguito dall’articolo 378, paragrafo 1, della direttiva Iva, tale disposizione mira ad attuare la deroga concessa all’Austria in forza dell’articolo 151, paragrafo 1, dell’atto di adesione, in combinato disposto con l’allegato XV, parte IX, punto 2, lettera h), primo comma, secondo trattino, di tale atto. L’Austria aveva chiesto di beneficiare di una deroga che le consentisse di continuare ad assoggettare all’Iva le attività degli enti radiotelevisivi di diritto pubblico diverse da quelle aventi carattere commerciale e gli Stati membri dell’Unione hanno accolto tale richiesta. Da quanto precisato, l’articolo 378, paragrafo 1, della direttiva Iva, in combinato disposto con l’allegato X, parte A, punto 2, della stessa direttiva, deve essere interpretato nel senso che tale disposizione consente alla Repubblica d’Austria di continuare ad assoggettare all’Iva il canone sulla programmazione. Tale interpretazione è l’unica in grado di salvaguardare l’effetto utile di tale disposizione. Infatti, l’Austria, alla data della sua adesione all’Unione, assoggettava all’Iva le attività dell’ente radiotelevisivo di diritto pubblico diverse da quelle aventi carattere commerciale, riscuotendo l’imposta sul canone sulla programmazione. Pertanto, poiché l’articolo 378, paragrafo 1, della direttiva Iva autorizza l’Austria solo a continuare ad assoggettare all’imposta tali attività e non già ad introdurre una nuova imposizione, interpretare tale disposizione nel senso che essa non autorizza la riscossione dell’Iva sul canone sulla programmazione svuoterebbe di senso detta disposizione. Le conclusioni della Corte Ue Tutto ciò premesso, la Corte Ue perviene alla conclusione che l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), e l’articolo 378, paragrafo 1, della direttiva Iva, in combinato disposto con l’articolo 151, paragrafo 1, e l’allegato XV, parte IX, punto 2, lettera h), primo comma, secondo trattino, dell’atto di adesione, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che l’Austria assoggetti ad Iva un’attività di radiodiffusione pubblica, finanziata mediante un canone legale obbligatorio e versato da chiunque utilizzi un impianto di ricezione di radiodiffusione all’interno di un edificio situato in un’area coperta dalla radiodiffusione terrestre dell’ente pubblico di radiodiffusione interessato, indipendentemente dalla questione se l’attività di radiodiffusione pubblica considerata rientri nella nozione di “prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso”, ai sensi di tale articolo 2, paragrafo 1, lettera c).