Delicato è il tema dell’accertamento del reato di omessa dichiarazione. La sentenza n. 43330 depositata il 26 ottobre 2023 dalla Corte di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso del legale rappresentante di una srl condannato per il delitto di cui all’art. 5 del DLgs. 74/2000 e ripercorre le tesi interpretative in materia di elementi probatori dei reati tributari. Innanzitutto viene rilevato che nessuna norma vieta al giudice penale di avvalersi delle risultanze degli accertamenti operati in sede tributaria. Ciò discende dal principio di atipicità dei mezzi di prova operante nel processo penale, di cui è espressione l’art. 189 c.p.p., sulla base del quale il giudice può dal principio avvalersi dell’accertamento induttivo effettuato, mediante gli studi di settore, compiuto dagli Uffici finanziari, per la determinazione dell’imposta dovuta, ferma restando l’autonoma valutazione degli elementi emersi secondo i criteri generali previsti dall’art. 192 comma 1, c.p.p., al di fuori di qualunque presunzione e di ogni predeterminazione del loro peso probatorio (cfr., tra le altre, Cass. n. 24811/2011, Cass. n. 40992/2013, Cass. n. 36207/2019). Del resto, si è sempre ritenuto che, sebbene i criteri stabiliti per l’accertamento sintetico del reddito imponibile, attraverso il cosiddetto “redditometro”, non siano per il giudice penale fonti di certezza legale, tuttavia costituiscono elementi indiziari corrispondenti a criteri logici, utilizzabili per una corretta motivazione della sentenza di condanna (Cass. n. 39960/2019). Nel caso all’esame della pronuncia oggi in commento, la Guardia di Finanza, durante un accertamento effettuato sulla srl che per alcune annualità non aveva presentato la dichiarazione dei redditi, dal momento che la documentazione consegnata dal commercialista relativa all’anno in contestazione era incompleta e frammentaria, aveva inviato un questionario alle aziende clienti della società in questione da cui erano emerse ulteriori fatture oltre a quelle consegnate. Successivamente l’Agenzia delle Entrate ha effettuato un ulteriore accertamento, mediante lo strumento dello “spesometro” che ha consentito, in relazione all’anno di imposta oggetto di verifica, di individuare altri clienti della società e di rintracciare ulteriori fatture omesse in contabilità e specificatamente indicate nella notizia di reato trasmessa alla Procura della Repubblica, per un ulteriore importo di reddito d’impresa evaso pari a 55.000 euro, così quantificando l’imposta IRES in 74.000 euro e l’imposta IVA in 55.466 euro. Sul punto i giudici di legittimità precisano anche che la disciplina dello spesometro non costituisce elemento integrativo della norma penale, non essendo volta a definire alcun elemento normativo della fattispecie contestata, bensì a disciplinare una modalità di accertamento in concreto della condotta. Se questi sono i poteri di accertamento del giudice, è invece onere del ricorrente produrre elementi probatori dei costi sostenuti. In proposito, viene ricordato che, in tema di reati tributari, il giudice, per determinare l’ammontare dell’imposta evasa, deve effettuare una verifica che, pur non potendo prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile, risente delle limitazioni derivanti dalla diversa finalità dell’accertamento penale, con la conseguenza che occorre tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza, quanto meno, di allegazioni fattuali, da cui desumere la certezza o, comunque, il ragionevole dubbio della loro esistenza (Cass. n. 8700/2019, Cass. n. 37094/2015). In ogni caso, dalla lettura della nota dell’Agenzia delle Entrate inserita nel fascicolo del dibattimento, emerge qui che i verificatori hanno considerato i costi relativi alle spese di affitto, ai compensi del commercialista, alle spese di utenze per un importo di 2.257,34 euro e ai costi afferenti al personale dipendente, indicati nel modello F24 per 8.461 euro. In tale nota sono elencate tutte le ulteriori fatture comunicate dai clienti che, sommate a quelle indicate nel processo verbale di constatazione ai fini dell’emissione dell’avviso di accertamento, hanno determinato un superamento delle soglie per le imposte IVA e IRES e il conseguente perfezionamento del reato di omessa dichiarazione.