Con la sentenza n. 43569 depositata il 27 ottobre 2023, la Corte di Cassazione ha precisato che la causa di non punibilità dei reati tributari prevista dall’art. 23 del DL 34/2023 (c.d. decreto “Bollette”) non è applicabile a periodi di imposta diversi e antecedenti rispetto a quelli espressamente previsti nella relativa disciplina. IL FATTO La vicenda giunta all’esame della Corte riguardava il legale rappresentante di una spa, ritenuto responsabile nei gradi di merito del reato di cui all’art. 10-ter del DLgs. n. 74/2000 per non avere versato l’IVA, dovuta sulla base dell’ultima dichiarazione annuale, entro il termine previsto per il versamento dell’acconto dell’anno successivo. Il ricorrente aveva, comunque, corrisposto l’intero debito tributario avanti la sentenza di primo grado (ma non prima dell’apertura del dibattimento come richiesto dall’art. 13 del DLgs. 74/2000) e, di conseguenza, aveva addotto avanti la Corte, quale ius superveniens più favorevole, l’applicabilità della più recente normativa. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Prima di affrontare la questione, la Cassazione ha ribadito le caratteristiche della fattispecie contestata, quale reato omissivo proprio che si consuma al momento della scadenza prevista dalla legge – il termine per il versamento dell’acconto per l’anno successivo – sulla base della dichiarazione IVA. Risponde, quindi, dell’omissione il soggetto che, in tale momento, è il legale rappresentante della società; di solito, il soggetto che ha predisposto e sottoscritto la dichiarazione riassuntiva di tutte le operazioni relative all’imposta con il calcolo del debito/credito. Ne consegue che, per l’integrazione del reato di cui all’art. 10-ter del DLgs. 74/2000, è necessario e sufficiente che l’IVA non versata sia quella dovuta in base alla dichiarazione annuale, essendo irrilevante, ai fini penali, quanto dovesse risultare dalle annotazioni contabili (Cass. n. 31367/2021) e, comunque, le vicende sottostanti che hanno generato il debito. Si giunge al diverso motivo addotto dal ricorrente, vale a dire l’applicazione nel caso di specie, della causa di non punibilità c.d. “speciale” introdotta dall’art. 23 del DL 34/2023 (conv. L. 56/2023), che ora si affianca a quella prevista all’art. 13 del DLgs. n. 74/2000, conseguendo, la prima come la seconda, al pagamento del debito tributario. Le due disposizioni coincidono per vari aspetti: gli stessi reati a cui si applicano, ivi compreso quello di cui all’art. 10-ter contestato nel caso di specie; la necessità dell’integrale pagamento del debito tributario entro un termine determinato in rapporto al procedimento penale. Sotto quest’ultimo profilo, tuttavia, il termine individuato dalla nuova causa di non punibilità risulta più ampio, dovendo il pagamento intervenire prima della sentenza di appello, con particolari modalità che il citato art. 23 collega alle definizioni delle violazioni e al versamento dei contributi secondo quanto previsto all’art. 1 commi 153-158 e 166-252 della L. 197/2022 (legge di bilancio 2023). Inoltre, per quanto rilevante nel caso in esame, il sistema di norme richiamato dal citato art. 23, finalizzato alla definizione agevolata della pretesa tributaria, prevede, quanto ai presupposti di applicazione, al comma 153 dell’art. 1 della L. 197/2022 il riferimento alle dichiarazioni relative ai periodi di imposta in corso al 31 dicembre 2019, 31 dicembre 2020, 31 dicembre 2021, richieste con le comunicazioni di cui agli artt. 36-bis del DPR 600/1973 e 54-bis del DPR 633/1972, per le quali il termine di pagamento ex art. 2 comma 2 del DLgs. n. 462/1997 non fosse ancora scaduto alla data di entrata in vigore della legge. Tuttavia, trattandosi, nel caso di specie, di omesso versamento IVA relativo a un periodo d’imposta antecedente a quelli considerati dalla più recente disciplina, ad avviso della Cassazione non vi erano i presupposti per la sua applicazione, né era ipotizzabile una lesione del principio costituzionale di eguaglianza nel riconoscere la causa di non punibilità al contribuente che ha estinto il debito tributario prima della conclusione del processo di appello, alle più favorevoli condizioni introdotte dopo la pandemia, e negarla a chi abbia raggiunto lo stesso risultato in un periodo di imposta precedente a quello considerato dalla nuova disciplina. Si tratta, infatti, di una legittima scelta discrezionale del legislatore, che trova la sua giustificazione nella dichiarata intenzione di adottare misure urgenti a favore di determinati soggetti e per particolari ambiti nel difficile periodo post pandemico.