Così come il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, anche il rifiuto opposto alla modifica della collocazione dell’orario di lavoro part time su proposta del datore di lavoro non costituisce, di per sé, giustificato motivo di licenziamento, ma, in ogni caso, non ne preclude l’intimazione. Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30093 depositata il 30 ottobre 2023. La norma di riferimento, in questo caso, è il comma 8 dell’art. 6 del DLgs. 81/2015, secondo cui il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento. I giudici di legittimità, in continuità con quanto già chiarito con le sentenze nn. 12244/2023 e 29337/2023, hanno evidenziato come, in tali ipotesi, il predetto divieto di licenziamento non sia assoluto, potendo il lavoratore part time essere licenziato nella misura in cui sussistano le causali di cui all’art. 3 della L. 604/1966. Spetta quindi al datore di lavoro dimostrare la sussistenza delle esigenze di natura economica e organizzativa in base alle quali la precedente collocazione oraria del prestatore non possa più essere mantenuta, nonché il nesso causale tra tali esigenze e il licenziamento e l’impossibilità di soluzioni occupazionali alternative rispetto a quelle proposte al lavoratore e poste alla base del recesso. Ciò che quindi, in sostanza, rileva è il comportamento datoriale improntato a correttezza e buona fede: il datore di lavoro è tenuto a dimostrare che il giustificato motivo di licenziamento è sorto a causa del rifiuto opposto dal lavoratore di mutare la fascia oraria del part time, non sussistendo ulteriori prospettabili ricollocazioni dell’orario lavorativo per utilizzare la sua prestazione. Nel caso di specie la lavoratrice a tempo parziale era stata licenziata a fronte del suo rifiuto alla diversa collocazione dell’orario di lavoro; l’azienda, in particolare, aveva motivato il recesso evidenziando che la prestazione lavorativa con il precedente orario non era più utilmente impiegabile perché incompatibile con le nuove esigenze aziendali. La Corte d’Appello aveva rigettato l’impugnazione proposta dalla lavoratrice, escludendo la fondatezza della doglianza circa la mancanza di effettività della riorganizzazione prospettata dal datore di lavoro. La Cassazione, con la sentenza in commento, pur non sindacando nel merito la causale organizzativa addotta né la sua effettività, ha rilevato che nella sentenza impugnata la motivazione non risultava soddisfacente nella parte relativa all’impossibilità di mantenere lo schema orario precedente e all’esistenza di un altro e diverso orario lavorativo che potesse evitare il licenziamento. Risultando, per contro, che dopo la proposta di modifica non accettata e posta alla base del licenziamento le parti, nel mese precedente il licenziamento stesso, avevano concordato un orario di lavoro diverso da quello originario, con mantenimento del rapporto di lavoro, i giudici di legittimità hanno ritenuto di cassare la decisione della Corte d’Appello con rinvio al giudice di merito per la prosecuzione del giudizio, da decidere in base ai sopra indicati principi di diritto.