L'Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 452 del 2 novembre 2023, ha chiarito a quali condizioni, seppur in presenza di clausole di leavership, i proventi possono costituire redditi di natura finanziaria. L'articolo 60, comma 1, decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 prevede che i «proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio, percepiti da dipendenti ed amministratori di tali società, enti od organismi di investimento collettivo del risparmio ovvero di soggetti ad essi legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati», si considerano, al ricorrere di determinati requisiti, «in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi». La presunzione in questione, operante ope legis, è applicabile in presenza delle condizioni individuate dal medesimo articolo, comma 1, lettere a), b) e c), ovvero: «a) l'impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori di cui al presente comma, comporta un esborso effettivo pari ad almeno l'1 per cento dell'investimento complessivo effettuato dall'organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti; b) i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che danno i suindicati diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all'organismo di investimento collettivo del risparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell'investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo; c) le azioni, le quote o gli strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti dai dipendenti e amministratori di cui al presente comma, e, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione». Come chiarito dalla relazione illustrativa al citato decreto legge n. 50/2017, la sussistenza dei richiamati requisiti è garanzia di un allineamento fra i manager e gli altri investitori in termini di interesse alla remunerazione dell'investimento e di rischio di perdita del capitale investito, ciò che costituisce la ratio dell'assimilazione dei proventi in argomento ai redditi di natura finanziaria. La circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E ha chiarito che la carenza di uno o più dei presupposti stabiliti dalla norma in esame non determina l'automatica qualificazione dei proventi come redditi collegati alla prestazione lavorativa, ma richiede lo svolgimento di un'analisi volta a verificare, caso per caso, l'idoneità dell'investimento a determinare quell'allineamento citato che consente di attribuire alle somme in argomento natura finanziaria. A tale proposito, il richiamato documento di prassi ha chiarito che l'eventuale detenzione di strumenti finanziari aventi le medesime caratteristiche da parte degli altri soci (al pari del management), nonché la presenza di una adeguata remunerazione per l'attività lavorativa svolta da parte dei manager possono fungere da indicatori della natura finanziaria del reddito in questione; ed altresì che un ulteriore criterio di valutazione è nell'idoneità dell'investimento, anche in termini di ammontare, a garantire l'allineamento di interessi tra investitori e management e la conseguente esposizione di quest'ultimo al rischio di perdita del capitale investito. Se tale caratteristica può costituire un indice della natura finanziaria del provento, pattuizioni che incidano in senso negativo sulla posizione di rischio dei manager mal si conciliano con la qualificazione dello stesso come reddito di capitale o diverso. Riguardo alle clausole di good o bad leavership, in linea generale la loro presenza costituisce un indicatore utile a collegare il provento all'impegno profuso dai manager nell'attività lavorativa (e quindi a produrre reddito di lavoro). Non può escludersi, tuttavia che la ricorrenza di altri elementi di segno opposto, quali ad esempio l'esposizione ad un effettivo rischio di perdita del capitale investito, possano far propendere per la natura finanziaria del provento. Viceversa, consentire ai manager di mantenere la titolarità degli strumenti finanziari anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro costituisce un'indicazione sufficiente ad escludere in radice uno stretto legame con l'attività lavorativa dei manager, ed indica la natura finanziaria del reddito in questione.