Niente tassazione sulla clausola penale

La clausola penale, con cui viene definita la somma che dovrà essere versata in caso di ritardo nella restituzione del bene locato, non può essere tassata in modo autonomo ai fini dell’imposta di registro, in quanto è strettamente connessa all’obbligazione principale del contratto, avendo natura meramente accessoria a esso e non potendo sussistere autonomamente. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30983 pubblicata il 7 novembre 2023, confermando così l’orientamento della giurisprudenza di merito (C.G.T. I° Reggio Emilia 3 aprile 2023 n. 54/1/23). La clausola penale è definita dall’art. 1382 c.c. come la pattuizione “con cui si conviene che, in caso d’inadempimento o di ritardo nell’adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione”; la medesima norma precisa che essa “ha l’effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore”. Il trattamento impositivo indiretto della clausola penale è stato oggetto di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, di recente, con la riposta a interpello 5 maggio 2022 n. 246, ove, esaminando la clausola penale apposta al contratto di appalto, l’Amministrazione finanziaria ha: - da un lato, ribadito (cfr. la ris. 16 luglio 2004 n. 91) che la clausola penale va soggetta alla sola imposta fissa, ex art. 27 del DPR 131/86, in quanto assimilabile a una condizione sospensiva; - dall’altro, affermato che essa va soggetta ad autonoma imposizione, non potendosi rinvenire il vincolo di derivazione necessaria richiesto dall’art. 21 comma 2 del DPR 131/86 per la tassazione unitaria, tenuto conto che la clausola penale non era imposta dalla legge, ma inserita per volontà delle parti. Su questo ultimo punto, la Cassazione, nel decidere sulla clausola penale nel contratto di locazione, assume una posizione diversa. La Corte, in primo luogo, ripercorre l’interpretazione dell’art. 21 del DPR 131/86, a norma del quale, se un atto contiene più disposizioni: - ma esse “non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto” (comma 1); - che derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, “l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa” (comma 2). La sentenza chiarisce che il termine disposizioni va interpretato nel senso di “negozio giuridico o atto tassabile” e non come mera clausola contrattuale. Partendo da tale presupposto, la Cassazione rileva allora come la “causa negoziale” diventi elemento essenziale per valutare l’unitarietà delle disposizioni nell’ottica dell’art. 21. Per questo, il diverso trattamento delineato dai due commi dell’art. 21 riprende la distinzione tra negozi collegati e negozio complesso, per cui (cfr. Cass. n. 7154/2021): - rientrano nel primo comma dell’art. 21 (tassazione autonoma) i negozi collegati, che si configurano in presenza di distinti e autonomi atti negoziali confluiti “in una fattispecie complessa pluricausale, della quale ciascuno realizza una parte, ma pur sempre in base ad interessi immediati ed autonomamente identificabili”; - i negozi complessi, che hanno causa unica, rientrano nel secondo comma dell’art. 21 (tassazione unica). Sulla base di questo ragionamento è stata affermata l’impossibilità di applicare la tassazione unica quando il legame tra le disposizioni derivi dalla mera volontà delle parti, sia quindi “occasionale” (Cass. n. 10789/2004). Tuttavia – rileva la Corte – tale criterio, se applicato da solo e in modo generalizzato, rischia di portare a conseguenze non corrette, anche se si attaglia perfettamente alle situazioni in cui, nel medesimo atto, siano confluiti negozi giuridici con cause eterogenee. Per questo motivo, la Cassazione si distacca dall’applicazione del solo criterio della “volontarietà” per verificare in concreto la natura della clausola penale apposta, nel caso di specie, al contratto di locazione. Infatti – notano i giudici di legittimità – la clausola penale ha proprio la funzione ex art. 1382 c.c. di predeterminare il danno da inadempimento, evitando al contraente adempiente la prova del quantum. Essa “non ha quindi una causa «propria» e distinta [...], ma ha una funzione servente e rafforzativa intrinseca di quella del contratto nel quale è contenuta”. Per questo, la clausola penale non può sopravvivere autonomamente dal contratto di locazione (nel caso di specie), con cui condivide la causa. In breve – conclude la Corte – sebbene possa esistere un contratto senza clausola penale, non può, però, esistere una penale senza contratto sottostante e ciò dimostra come la clausola penale abbia funzione puramente accessoria e non autonoma (cfr. Cass. n. 18779/2005) rispetto al contratto che la prevede. Inoltre, essa non esprime, di per sé, alcuna ricchezza significativa di forza economica e capacità contributiva e, quindi, ai sensi dell’art. 21 comma 2 del DPR 131/86, non può essere tassata autonomamente.

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Niente tassazione sulla clausola penale

La clausola penale non è soggetta ad autonoma tassazione con l’imposta di registro, in ragione della sua accessorietà rispetto al contratto nella quale è inserita

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