I costi elevati supportati da un professionista nell’espletamento della propria attività non decretano l’autonoma organizzazione. Di qui l’Irap non è dovuta o se versata va rimborsata. Il contribuente per vedersi riconoscere il proprio diritto ha dovuto superare le due sentenze dei giudici di merito e proporre appello in Cassazione che ha accolto l’istanza del cittadino. Lo precisa la Cassazione con l’ordinanza n. 31570 del 13 novembre 2023. IL FATTO Nello specifico, la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dal contribuente avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente contro il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dell’Irap versata per gli anni 2005, 2006 e 2007. Con il primo motivo il contribuente deduce, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, del cpc, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2 e 3 del Dlgs. n. 446/1997, dell’articolo 51 del Dpr 917/1986 e dell’articolo 2195 del codice civile. In particolare censura la sentenza impugnata per non avere considerato che l’attività professionale di scrittore-conferenziere e pubblicista svolta dal ricorrente, con prevalenza assoluta dell’apporto di lavoro proprio, non poteva integrare il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, sia per la esiguità dei beni strumentali, sia per assenza di dipendenti o collaboratori stabili. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Si legge nella sentenza di Cassazione che anche in precedenti arresti di legittimità è stato evidenziato che il valore assoluto dei compensi e dei costi, e il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista, atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata, e, dall’altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale, rappresentando, così, un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo (sul punto si veda anche la sentenza della Cassazione n. 7652 del 2020).