Nel processo tributario le spese del giudizio - che comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l'IVA, se dovuti, con l’attuale disciplina - seguono la soccombenza. Le spese di giudizio nel processo tributario Il principio cardine, dunque, che regola la materia è il criterio della soccombenza, di cui all’art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, per il processo tributario, e alla norma generale di cui all’art. 91 c.p.c., laddove viene previsto che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme agli onorari (Cass. n. 189/2017). Le Corti di Giustizia tributaria di primo e secondo grado, per effetto del comma 2 dell’art. 15, possono compensare in tutto o in parte le spese solo in caso di soccombenza reciproca o sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate dal giudice. Se la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, la Corte di Giustizia tributaria la condanna, su istanza dell'altra parte, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni liquidati, anche d'ufficio nella sentenza; inoltre, anche d’ufficio, il giudice può condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata. Il tutto per effetto del richiamo, nell’art. 15, comma 2-bis, dell’art. 96, commi 1 e 3, c.p.c., in materia di responsabilità aggravata per la cd. lite temeraria. Infine, il comma 2-octies dell'art. 15, al fine di incentivare la deflazione del contenzioso, stabilisce che la parte che abbia rifiutato, senza giustificato motivo, la proposta conciliativa formulata dall'altra parte è tenuta a sopportare le spese processuali, maggiorate del 50%, quando il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della stessa proposta conciliativa. Si tratta di una disposizione mutuata dall’art. 91 c.p.c., in materia di condanna alle spese processuali. Intervenuta la conciliazione, le spese di giudizio si intendono compensate, salvo che le parti abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione. Come dettato dalla Suprema Corte, nel vigente sistema, il giudice, nel definire un procedimento di carattere contenzioso, ha il potere-dovere di statuire sulle spese, anche senza espressa istanza dell’interessato, salvo che lo stesso abbia manifestato la volontà di rinunciarvi. (Cass. 12 giugno 2018, n. 649173; Cass. 27 agosto 2003, n. 12542). Cosa prevede il decreto attuativo della delega fiscale La legge 9 agosto 2023, n. 111, recante “Delega al Governo per la riforma fiscale”, prevede all’art. 19, una serie di principi e criteri direttivi per la revisione della disciplina e l’organizzazione del contenzioso tributario. In attuazione della delega, lo schema di decreto legislativo attinente al contenzioso tributario, modifica la disciplina riguardante le spese di giudizio, minando quel “criterio della soccombenza”, che è alla base di un giusto processo. All’art. 15, quindi, viene introdotto il comma 1-bis, che prevede, in un’ottica di deflazione del contenzioso e del massimo contenimento dei tempi di conclusione della controversia tributaria, la non applicazione della previsione del rimborso delle spese di giudizio a carico della parte soccombente, nel caso in cui oggetto del giudizio sia un atto impositivo per il quale il contribuente è stato ritualmente ammesso al contraddittorio e la decisione si basa, in tutto o in parte, su elementi forniti per la prima volta dal contribuente solo in sede di giudizio. Viene inoltre sostituito il comma 2, prevedendo la compensazione delle spese del giudizio, oltre che nel caso di soccombenza reciproca e di gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere espressamente motivate, anche quando la parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio. È scritto nella relazione illustrativa “le previsioni in questione propongono pertanto una riscrittura dell’istituto delle spese processuali, sia nel caso di soccombenza che nel caso di compensazione, con lo scopo di incentivare le parti ad anticipare alla fase precontenziosa la produzione dei documenti utili alla difesa della propria posizione”. Infine, aggiungendo all’art. 15 il comma 2-nonies, viene introdotta una nuova previsione relativa al rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità degli atti di parte anche nella fase di liquidazione delle spese. Alcuni spunti critici L’obiettivo della riforma fiscale è anche quello di mettere il contribuente in una posizione tale da poter “risolvere” la controversia prima di adire le vie del contenzioso. Dalle modifiche sopra analizzate, tuttavia, sembra che non sia cambiato nulla rispetto al passato. Anzi è tutto peggiorato. Dopo aver instaurato il contraddittorio, nel caso in cui oggetto del giudizio sia un atto impositivo, il contribuente, qualora sia risultato vittorioso, non avrà diritto alle spese di giudizio se la decisione si basa, in tutto o in parte, su elementi forniti per la prima volta dallo stesso solo in sede di giudizio. Sul punto, appare non corretto, allora, quanto spiegato dalla relazione illustrativa, in quanto non sono le parti (rectius Agenzia delle Entrate e contribuente) che anticipano alla fase precontenziosa la produzione di documenti utili alla difesa della propria posizione, ma è solo il contribuente che soggiace a questo obbligo. L’Agenzia delle Entrate, quindi, in sede di contraddittorio, è messa nelle condizioni di conoscere tutta la documentazione e le prove del contribuente ancor prima di emettere l’atto impositivo, con possibilità di “parametrarlo” con proprie deduzioni, disattendendo quanto sostenuto dal contribuente stesso. La semplice dimenticanza di un documento decisivo, presentato poi in sede di giudizio, con il risultato favorevole al contribuente, comporta, quindi, l’impossibilità per quest’ultimo di ricevere il rimborso delle spese di giudizio. In questa situazione, è fuori dubbio che l’Agenzia non ha interesse di evitare il contenzioso, perché già conosce le motivazioni e i documenti che saranno considerati dal contribuente in sede di impugnazione dell’atto impositivo con il ricorso introduttivo. È forte il dubbio che si manifesta sull’accoglimento delle prove prodotte dal contribuente da parte dell’Ufficio in pendenza del contraddittorio, anche perché nulla rischia dato che, qualora la decisione del giudice si basi successivamente su elementi forniti solo in sede di giudizio, non ci saranno spese processuali da sostenere per l’Amministrazione Finanziaria. Ci sarà, quindi, la solita “lavata di mani” del funzionario, che continuerà ad invitare il contribuente a impugnare l’atto che successivamente sarà notificato, non prendendosi la responsabilità di riconoscere valide le prove documentali presentate, durante l’attività istruttoria, dal soggetto controllato, archiviando detta attività.