Il fisco non può sindacare le libere scelte dell'imprenditore e non può presumere un atteggiamento antieconomico della società quando questa apporti una comprovante giustificazione rispetto le sue scelte. Questa è in sintesi la decisione che ha adottato l'ordinanza della Suprema Corte di Cassazione sez. Civile n. 34772 del 12 dicembre 2023, nel rigettare un ricorso dell'Agenzia delle Entrate, a difesa di un suo avviso di accertamento fondato su presunte condotte antieconomiche. IL FATTO Il caso riguardava una società la quale aveva effettuato degli acquisti, a parere dell'Amministrazione finanziaria, sproporzionati rispetto al proprio oggetto sociale, e di conseguenza non inerenti, ritenendo così tali costi meritevoli di essere disconosciuti, con la conseguente ripresa a tassazione. A fronte della consistente pretesa, la società proponeva opposizione all'atto del fisco ed otteneva ragione, con l'annullamento dell'avviso di accertamento anche in secondo grado. Le Entrate tuttavia proponevano ricorso per cassazione, sostenendo che la contribuente non aveva fornito adeguata prova rispetto all'economicità e inerenza degli acquisti registrati in bilancio. Quindi riteneva che il giudice dell'appello si fosse espresso in modalità abnorme e che la sentenza, non solo doveva essere dichiarata nulla, ma anche non fondata nel merito. Ma il fisco, in questo caso non riusciva a fare breccia, tanto che il proprio ricorso vedeva il rigetto. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Secondo il Giudice di piazza Cavour, la scelta imprenditoriale non solo è legittima e insindacabile ma per essere considerata incompatibile con la veridicità delle scritture contabili deve possedere delle caratteristiche che il fisco doveva provare. In questo caso, infatti, la società argomentava che tali acquisti in primo luogo generavano delle rimanenze finali e poi, in anni di imposta successivi, avevano generato ricavi regolarmente dichiarati. Secondo l'Ade l'antieconomicità era dunque anche sintomo di carenza di inerenza dei costi, ma cadendo la prima ipotesi, non fornita da adeguate altre prove, non poteva più parlarsi di difetto di inerenza dei costi. Per questo motivo la Cassazione confermava la sentenza del giudice di secondo grado e annullava l'accertamento.