Abrogata la procedura di reclamo-mediazione a partire da ... da quando precisamente? La novità, che configura l’elemento presumibilmente più importante del nuovo Decreto Legislativo afferente al contenzioso tributario, ha suscitato reazioni favorevoli, di fatto unanimi, da parte sia della dottrina che dei contribuenti in generale. Anche se, a latere, taluno si sta domandando quali siano gli atti interessati dalla norma in oggetto: questo, in particolare, considerata la decorrenza di simile abrogazione, che si discosta dalla regola generale individuata dal decreto in esame, alla luce dei potenziali impatti sull’ammissibilità dei ricorsi. A partire dall’entrata in vigore dell’art. 17-bis del D.lgs 546/1992 sono state fatte notare le criticità di un istituto che, sebbene astrattamente rientrante tra quelli deflattivi del contenzioso – nonostante si collochi in una fase sostanzialmente “di mezzo” (para-processuale in un certo senso, vista in ogni caso l’avvenuta notifica dell’atto introduttivo del giudizio) – presentava uno specifico impedimento alla relativa efficacia. Impedimento derivante dal fatto che il riesame dell’atto oggetto di ricorso, che in virtù del valore non superiore ad euro 50.000 aveva anche gli effetti del reclamo, avveniva ad opera di un soggetto affatto “contiguo” a quello che lo aveva emesso; o, in alcuni casi limite, come accadeva per gli atti impositivi afferenti ai tributi locali – IMU in primis, soprattutto nei piccoli Comuni – da parte dello stesso funzionario che aveva emesso l’atto. Ma tutto questo rappresenta il passato, posto che non vi è più l’obbligo di reclamo “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto” (art. 3, comma 2 del D.Lgs 220/2023), ossia dal 04/01/2024, vista la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 2 del 03/01/2024. La dizione normativa fa, come anticipato, sì che sia chi si chiede se il venir meno della procedura valga anche per i ricorsi già notificati prima dell’entrata in vigore del testo legislativo nonché, più nello specifico, per gli atti per i quali si trovava ancora a pendere il termine per il reclamo; termine da cui dipende quello relativo alla costituzione in giudizio. Da qui le perplessità sull’eventuale “inammissibilità sopravvenuta”, laddove i 30 giorni di cui all’art. 22, comma del D.Lgs 546/1992 per il deposito siano già decorsi dalla suddetta trasmissione del ricorso. Ora, considerando che la decorrenza della norma in questione differisce: a) sia da quella “generale” (a ben vedere tutt’altro che tale), di cui all’art. 4, comma 2 del Decreto, secondo cui le norme che contiene si applicano “ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1° settembre 2024”; b) sia da quella “speciale”, per cui alcune disposizioni entrano in vigore per i giudizi instaurati atti, primo grado così come in appello o in Cassazione, a decorrere dal giorno successivo all'entrata in vigore del presente decreto. Quindi sempre dal 04/01/2023. Ebbene, considerata la espressa differenziazione, rispetto al caso sub-b), dell’efficacia relativa all’eliminazione reclamo, è evidente che l’obbligo di reclamo non venga meno solamente per i ricorsi per i quali è già avvenuta la costituzione in giudizio, bensì anche da quelli notificati in precedenza: ricorsi per i quali si potrebbe pertanto procedere con la costituzione in giudizio a prescindere dall’intervallo di 90 giorni per l’esperimento del reclamo, tornando di fatto a valere la “storica” regola, richiamata in precedenza, sulla costituzione entro 30 giorni dalla notifica del ricorso (senza più conseguenze di sorta anche solo rispetto alla relativa procedibilità). La questione sul rischio di inammissibilità potrebbe quindi porsi rispetto ad un atto: - notificato da oltre 30 giorni, - per il quale non siano però ancora trascorsi i 90 giorni per il reclamo, ossia, in ipotesi, inviato via PEC alla controparte in data 01/12/2023. Tale atto, stando alle regole di cui al d.lgs. 220/2024, andrebbe oggi considerato inammissibile proprio per l’inutile decorso del richiamato termine di 30 giorni per il deposito. Anche se ciò striderebbe, in maniera più che evidente, con qualsiasi legittimo affidamento che il ricorrente ha fatto all’epoca in cui lo ha trasmesso; ed in ciò sta quindi presumibilmente la chiave per risolvere l’enigma di cui trattasi. Occorre difatti a questo punto ricordare il fondamentale principio (anche) di carattere processuale tale per cui “tempus regit actum”, secondo il quale è la norma vigente al momento in cui un determinato atto è venuto a esistenza che ne regola la disciplina applicabile – nel caso specifico dunque, trattandosi di un ricorso, il tempo in cui è stato notificato. Ragion per cui il ricorso di cui al precedente esempio: non potrebbe essere ritenuto non ammissibile al giudizio, ma si ritiene, non comunque non più vincolato all’esperimento del reclamo. Simile interpretazione, basata non solamente sul richiamato principio processualistico, bensì anche sulla mera ragionevolezza porta di fatto ad una conclusione e ad una sola: i ricorsi notificati in precedenza rispetto all’entrata in vigore del Decreto di riforma del contenzioso, per i quali non siano ancora scaduti i termini per la costituzione in giudizio, considerando anche i 90 giorni per il reclamo, mantengono tale intervallo di tempo ai fini dell’ammissibilità. Salvo il fatto che, vista l’avvenuta abrogazione della procedura in questione, sarà possibile costituirsi immediatamente in giudizio, senza dover attendere lo scadere del termine di cui al precedente art. 17-bis del D.Lgs 546/1992.