La disciplina del raddoppio dei termini per violazioni penali si estende anche all’atto di contestazione della sanzione al cessionario a seguito dell’omessa regolarizzazione della fattura di una operazione soggetta a reverse charge ex art. 6 comma 8 del DLgs. 471/97 relativa a operazioni soggettivamente inesistenti. Questo è in sostanza il principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 534 depositata l'8 gennaio 2024, che ha di fatto ampliato la portata della disciplina del raddoppio dei termini ex art. 57 del DPR 633/72 a una fattispecie sanzionatoria autonoma. IL FATTO Emerge dal decisum che al contribuente, nei confronti del quale era stata presentata una denuncia penale, veniva notificato un avviso di accertamento fondato sul presupposto di operazioni soggettivamente inesistenti, cui si applicava la disciplina del raddoppio dei termini ex art. 57 del DPR 633/1972 ratione temporis vigente trattandosi di fattispecie che rilevava ai fini della sanzione penale ex DLgs. 74/2000. Tuttavia, al medesimo in quanto soggetto cessionario e utilizzatore delle fatture inesistenti, veniva altresì notificato un ulteriore atto di contestazione della sanzione ex art. 16 del DLgs. 472/97, per violazione dell’art. 6 comma 8 del DLgs. 471/97 in tema di omessa regolarizzazione delle fatture passive in regime di inversione contabile nelle quali erano esposti i dati identificativi di un cedente diverso da quello effettivo (trattandosi di reverse charge, forse sarebbe più corretto richiamare il comma 9-bis, ma l’argomento non è trattato nella sentenza, nemmeno con riferimento all’entità della sanzione). Si ricorda che detta sanzione punisce, nella misura del 100% dell’imposta, il cessionario per aver omesso la regolarizzazione della fattura, espressione di un obbligo autonomo rispetto alla violazione commessa dal cedente/prestatore. Si tratta di un obbligo autonomo anche rispetto alla violazione, commessa dallo stesso cessionario, derivante dall’indebita detrazione dell’IVA (in quanto riferita a operazioni soggettivamente inesistenti) che poteva beneficiare del raddoppio dei termini. L’atto di contestazione veniva anch’esso emesso nel termine raddoppiato in luogo di quello ordinario quinquennale di cui all’art. 20 comma 1 del DLgs. 472/97, secondo cui “L’atto di contestazione di cui all’articolo 16, ovvero l’atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi”. Il contribuente si doleva del fatto che non poteva applicarsi il raddoppio dei termini in quanto si trattava di una violazione non collegata al tributo trovando, invece, applicazione il menzionato termine di decadenza dei cinque anni ex art. 20 del DLgs. 472/97. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha totalmente disatteso le doglianze del contribuente ritenendo che all’atto di contestazione si applichi il raddoppio, essendo anche la diversa sanzione di cui all’art. 6 comma 8 del DLgs. 471/97 “legata” all’accertamento per operazioni inesistenti. Viene richiamata la disciplina transitoria dell’art. 2 comma 3 del DLgs. 128/2015, che menziona i termini dell’art. 20 del DLgs. 472/97. Tale richiamo, a nostro avviso, deve tuttavia riguardare le sole sanzioni connesse all’evasione penalmente rilevante, laddove ad esempio siano state, per una qualsivoglia ragione, contestate in via separata dal tributo (il tipico caso sono le sanzioni da dichiarazione omessa o infedele). L’accertamento per operazioni inesistenti, quindi, ha costituito in tutto e per tutto il presupposto logico e giuridico che ha legittimato il raddoppio dei termini per l’atto di contestazione della sanzione ex art. 6 comma 8 del DLgs. 471/97 e ciò anche in relazione all’obbligo di denuncia penale. In verità, altra Cassazione, in senso opposto, ha ritenuto che la sanzione sull’omessa regolarizzazione del cessionario non possa ritenersi collegata al tributo, considerato che il cessionario non è debitore di imposta (Cass. 24 novembre 2021 n. 36488). Tale circostanza non solo giustifica la legittimità dell’atto di contestazione separata ex art. 16 del DLgs. 472/97, ma al contempo significa riconoscere alla fattispecie sanzionatoria l’autonomia che merita anche sotto il profilo dell’azione accertatrice, che con la sentenza in commento è stato al contrario esteso “agganciandolo” all’accertamento per giustificare il raddoppio.