Una dieta ipoglicemica imposta per dimagrire ed entrare in un divisa, almeno di taglia media, esami del sangue e, anche un clistere consegnato al momento dell’ingaggio con la raccomandazione di utilizzarlo. A subire questo trattamento non è stata un’aspirante modella, da parte di una tirannica direttrice sullo stile del film «il diavolo veste Prada», ma l’impiegata di una ditta di materiali edili, vessata e umiliata dalla sua capa. La Cassazione, conferma in sede civile, il diritto della donna al risarcimento per mobbing, considerando provate, grazie alle testimonianze e ad una relazione medica, le offese, le denigrazioni e le molestie, anche invasive della sfera privata e intima, del tutto ingiustificate che la dipendente aveva subìto. Lungo l’elenco dei maltrattamenti. La donna inviata alla società da un’agenzia per la somministrazione del lavoro, era stata “accolta”, con la raccomandazione di usare un clistere che le era stato “gentilmente” fornito da un’amministratrice, suo superiore gerarchico. Massaggi ed esami del sangue La stessa le aveva imposto di fare delle analisi, chiedendo anche la password per entrare nel data base del laboratorio e leggere i risultati, con la scusa di darle consigli in caso di anomalie. Uno degli obiettivi della “cura” era far entrare la dipendente in una divisa di taglia media o small. Per questo alla donna venivano praticati, ancora una volta dalla solerte capa, dei massaggi. Questo per la sanità del corpo. Mentre per una mens sana la “terapia” prevedeva denigrazioni di fronte ai clienti e ai colleghi, urla e rimproveri, che provocavano un senso di vergogna, più “punizioni” psicologiche inflitte in uno stanzino nel quale era trattenuta dalla datrice di lavoro in compagnia di una collega più anziana. Ad ulteriore dimostrazione del clima nei confronti della lavoratrice, anche una mail nella quale si parlava di lei, inviata per sbaglio dalla manager a tutti i dipendenti, il cui oggetto “cerebrolesi” non lasciava spazio a dubbi. Un quadro che rende del tutto in salita il compito della difesa della società di banalizzare i fatti parlando di termini “scherzosi” o “leggeri”. Per i giudici c’è un danno biologico, certamente legato a quanto sopportato nel contesto lavorativo, come dimostra la «coincidenza temporale» con una forma di depressione.