Le Commissioni Finanze della Camera dei deputati e del Senato hanno formulato diverse osservazioni riguardanti lo schema di decreto delegato avente ad oggetto il concordato preventivo biennale. Il Viceministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo ha già manifestato una disponibilità di massima al recepimento delle stesse, ma una di queste osservazioni ha destato preoccupazioni sin dall’inizio e non sarà inserita nel testo che sarà definitivamente approvato. L’osservazione delle Commissioni di Camera e Senato Secondo l'indicazione conclusiva che arriva dalla Commissione Finanze del Senato deve essere previsto: “nella procedura di elaborazione e definizione della proposta di concordato ai sensi dell'articolo 9, che l'eventuale l'incremento del reddito e della produzione netta rispetto a quello dell'anno di riferimento preso a base sia limitato ad una percentuale fino al massimo al 10 per cento”. La previsione ha una finalità ben precisa. Essa intende evitare che nella proposta formulata al contribuente l’ammontare del reddito da concordare sia eccessivamente elevato e per tale ragione il contribuente possa essere indotto a non accettare. In tale ipotesi sussisterebbe il concreto rischio che lo strumento di compliance sia destinato a fallire sul nascere. Ad esempio Se il reddito da cui partire per la formulazione della proposta fosse pari a 30.000 euro, il reddito da concordare non potrebbe in ogni caso essere superiore a 33.000 euro. La posizione del Governo L’osservazione ha sicuramente una sua logica, ma le forze politiche non governative hanno espresso immediatamente un’opinione negativa. Sussisterebbe, secondo questa opinione, il concreto rischio di attribuire ai contribuenti vantaggi “eccessivi”, tra cui la possibilità di non essere soggetti ad una verifica fiscale, a fronte di un reddito leggermente superiore a quello effettivamente dichiarato. In ogni caso, anche il viceministro dell’Economia e delle finanze ha spiegato che la misura non sarà recepita. Il concordato preventivo biennale, anche se è un “patto” con il Fisco, deve comunque tenere conto della capacità contributiva del contribuente. Tale obiettivo non può quindi essere concretamente raggiunto con la previsione di un limite massimo. Secondo il Governo, la procedura di elaborazione della proposta dovrà essere sempre coerente con i dati dichiarati e risultanti dalla dichiarazione dei redditi presentata nell’anno precedente dal contribuente. Sarà però consentita all’Amministrazione finanziaria la possibilità di presentare una proposta difforme e motivata sottoposta al contraddittorio preventivo. Quando si verifica la decadenza dal concordato In realtà le osservazioni non sono completamente fondate se si legge con attenzione quanto previsto dall’art. 34 dello schema di decreto delegato. La disposizione prevede che “per i periodi d’imposta oggetto del concordato, gli accertamenti di cui all’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, non possono essere effettuati salvo che in esito all’attività istruttoria dell’Amministrazione finanziaria ricorrano le cause di decadenza di cui agli articoli 22 e 33”. Il contribuente che si è accordato con il Fisco e ha accettato la relativa proposta non può essere destinatario né di un accertamento analitico puro, cioè che prescinda completamente dalle risultanze delle scritture contabili, né di un accertamento analitico-induttivo. In quest’ultimo caso “l’incompletezza, falsità o inesattezza” degli elementi indicati non è tale da non consentire di prescindere dalle scritture contabili essendo legittimato l’Ufficio accertatore a “completare” le lacune riscontrate utilizzando ai fini della dimostrazione della esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati ovvero della inesistenza di componenti negativi dichiarati anche presunzioni semplici (praesumptio hominis) rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate conserva impregiudicati i propri poteri al fine di verificare se sussistano o meno cause che possono determinare la decadenza dal concordato. Ai sensi dell’art. 22, comma 1 dello schema di decreto delegato si verifica la decadenza dal concordato se “a seguito di accertamento, nei periodi d’imposta oggetto del concordato o in quello precedente, risulta l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza o indeducibilità di passività dichiarate, per un importo superiore al 30 per cento dei ricavi dichiarati, ovvero risultano commesse altre violazioni di non lieve entità di cui al comma 2”. L’Agenzia delle Entrate può quindi effettuare tutte le attività istruttore necessarie al fine di verificare se sussistano violazioni in grado di determinare la decadenza dai benefici fiscali e in tal caso applicare i metodi di accertamento induttivi o analitico-induttivi previsti dall’art. 39, D.P.R. n. 600/1973. Risulta confermato lo spostamento al 15 ottobre del termine di presentazione delle dichiarazioni dei redditi e per l’accettazione della proposta di concordato. Rispetto al termine attuale i contribuenti avranno più tempo per l’invio dei dati all’Agenzia delle entrate (21 luglio 2024) e per l’accettazione della proposta (31 luglio). Infine, saranno ammessi al concordato anche i contribuenti che non hanno ottenuto un punteggio almeno pari all’8 dall’applicazione degli indicatori di affidabilità fiscale.