La prova fornita dagli apparecchi marcatempo che incastra i pubblici dipendenti, svelando le loro fughe dal lavoro è valida, anche se i dispositivi sono stati montati prima del 2015, quando non era previsto il monitoraggio e non c’era alcun accordo con i sindacati. La Cassazione, conferma la condanna per truffa aggravata a carico di due uscieri del comune, che avevano l’abitudine di lasciare il municipio per andare a sbrigare altre incombenze e, forse, altre attività. Ad avviso della difesa il via libera all’uso delle prove era stato dato in violazione delle norme che regolano il lavoro degli statali e dello Statuto dei lavoratori. L’errore dei giudici di merito sarebbe stato quello di aver considerato i dipendenti soggetti all’obbligo di timbrare il badge, malgrado non fosse previsto o regolato da alcun accordo sindacale né dall’ispettorato del lavoro. I fatti “incriminati” erano, infatti, stati commessi nel 2014. E dunque prima del cosiddetto decreto Semplificazioni n. 151 del 2015, quando era assolutamente vietato, precisano i ricorrenti, utilizzare apparecchiature per controllare l’attività dei lavoratori. Una tesi che la Suprema corte smentisce. Lo Statuto dei lavoratori deve, infatti, cedere il passo al Codice penale, il solo che regoli la possibilità di acquisire indizi o prove nel processo. Le rilevazioni di entrata e di uscita dei dipendenti possono quindi essere usate, anche se gli apparecchi che registrano i movimenti sono stati installati violando lo Statuto del ’70 in assenza di un preventivo accordo con le organizzazioni sindacali. Garanzie - precisano i giudici di legittimità - che riguardano però solo i rapporti di diritto privato tra il datore e i lavoratori, ma che non hanno alcuna importanza quando si tratta di accertare o reprimere dei fatti che costituiscono reato. Come avviene, ad esempio, quando viene messo a rischio il patrimonio aziendale. Nello specifico il danno, era stato fatto al patrimonio dello Stato, con una condotta che, in quanto abituale, rientra nella truffa aggravata, proprio perché il pregiudizio, anche economico, non può essere considerato di lieve entità. Ragione per cui ai ricorrenti “assenteisti” viene negata anche la particolare tenuità del fatto. Una norma che avrebbe consentito l’impunità, malgrado la constatazione del reato.