Indebita fruizione del “margine”: al contribuente la prova di liceità

In tema di imposta sul valore aggiunto, se l’Amministrazione finanziaria contesta, sulla base di elementi oggettivi e specifici, la possibilità per il contribuente di avvalersi del particolare regime del margine, grava sul contribuente stesso l’onere di provare la propria buona fede. Questo principio è stato espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 33301 del 29 novembre 2023. IL FATTO Prima di esaminare nel merito la vicenda processuale, occorre precisare che il regime del margine è un particolare regime di favore disciplinato dagli articoli 36 e seguenti del decreto legge n. 41/1995. Si tratta di un regime speciale, facoltativo, finalizzato, come precisato dalla circolare 40/2003, a evitare una duplicazione di imposizione in ambito Iva, con riferimento al commercio di beni usati o di oggetti d’arte, di antiquariato e da collezione. In mancanza di questo regime, infatti, se un soggetto passivo Iva acquista un bene usato, con l’intento di rivenderlo, dovrebbe assoggettare a imposta l’intero ricavo della vendita, con conseguente duplicazione dell’imposizione, in quanto il bene è già stato colpito dall’imposta nel momento in cui è uscito dal circuito produttivo. La particolarità di questo regime è data, quindi, proprio dalle modalità di calcolo della base imponibile, la quale viene determinata sulla base della differenza tra il costo sostenuto dal rivenditore per acquistare il bene e il corrispettivo da lui conseguito al momento della rivendita. Questa differenza rappresenta, appunto, il “margine”. Chiaramente, l’applicazione di questo regime, che risulta, nella quasi totalità dei casi, più favorevole rispetto a quello ordinario, presuppone la ricorrenza di determinati presupposti, sia soggettivi che oggettivi. In particolare, in base al primo comma dell’articolo 36 del Dl n. 41/1995, affinché il cessionario possa accedere al regime del margine, il cedente deve rientrare in una di queste categorie: privato consumatore soggetto che non ha potuto detrarre l’imposta (in quanto i beni acquistati sono destinati a una attività esente) soggetto passivo comunitario, che agisce in regime di franchigia nel proprio Stato membro soggetto che abbia, a sua volta, assoggettato il proprio acquisto al regime del margine. In merito ai presupposti oggettivi, è necessario che il bene ceduto sia stato già tassato, definitivamente, in occasione di un trasferimento precedente rispetto a quello in relazione al quale si applica il regime del margine. Di solito, questo requisito sussiste, in quanto il bene viene ceduto al rivenditore da un privato che ha, quindi, versato l’Iva, nel momento in cui ha acquistato il bene stesso. Al riguardo, infatti, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 4620 del 9 marzo 2016 aveva già affermato che “Condizione indefettibile di applicabilità del regime del margine è, comunque, l’indetraibilità dell’Iva versata “a monte” dal cedente operatore comunitario, all’atto dell’acquisto del bene poi rivenduto all’importatore di altro Paese membro, nel senso che detto cedente deve aver assolto l’IVA in modo definitivo, senza esercitare alcuna rivalsa”. Nel caso in esame, l’Amministrazione finanziaria ha emesso un avviso d’accertamento ai fini Iva, Ires, Irap nei confronti di una società che svolgeva attività di autonoleggio. In particolare, venivano contestate alcune operazioni di compravendita di autovetture usate di provenienza dalla Germania. Si trattava, quindi, di operazioni intracomunitarie. Alla base dell’accertamento vi era la dimostrazione che, nel caso specifico, il regime del margine era stato applicato in assenza dei suoi presupposti. Di conseguenza, si contestava, l’indebita detrazione dell’Iva e la violazione dell’obbligo di fatturazione dell’intero corrispettivo nei confronti dei successivi acquirenti nazionali. I giudici tributari di primo grado hanno accolto il ricorso presentato dalla società destinataria dell’accertamento. La Ctr delle Marche (decisione n. 291 del 4 settembre 2014), invece, ha richiamato l’orientamento della Corte di cassazione, in base al quale, di fronte a contestazioni dell’Amministrazione finanziaria, in caso di acquisti intracomunitari, ricade sul contribuente l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che possono giustificare la deroga al regime ordinario e l’applicazione del regime del margine. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE I giudici della suprema Corte, investiti della questione, hanno affermato, con specifico riferimento all’attività di compravendita di veicoli usati, che la buona fede del contribuente si concretizza “…nella diligente individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, anche in via presuntiva, se l’Iva sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione.” A seguito di tale verifica: se risulta che l’Iva è già stata assolta, in relazione al medesimo bene, da altro soggetto senza possibilità di detrazione, il diritto di applicare il regime del margine, deve essere riconosciuto se risulta che i precedenti proprietari svolgono tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione dell’avvenuto esercizio della detrazione dell’Iva, con conseguente negazione dell’applicazione del regime del margine. La Cassazione ha, quindi, confermato che, una volta che l’Amministrazione finanziaria contesti, sulla base di elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia, indebitamente, fruito del regime del margine, spetta a quest’ultimo provare la sua buona fede e, cioè, di avere agito in assenza della consapevolezza di partecipare a un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni. I giudici hanno anche richiamato un proprio precedente (sentenza n. 21105/2017) con il quale si era affermato che la disciplina del regime del margine “…deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi”. In mancanza di una prova fornita dalla società, relativamente alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime del margine, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla stessa società.

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Indebita fruizione del “margine”: al contribuente la prova di liceità

Condizione imprescindibile di applicabilità del regime è, comunque, l’indetraibilità dell’Iva versata “a monte” dal cedente operatore, che deve aver assolto l’imposta in modo definitivo, senza rivalsa

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