Il reato di indebita compensazione riguarda l’omesso versamento di somme attinenti a debiti sia tributari che di altra natura, per il cui pagamento viene utilizzato il modello di versamento unitario. Tale interpretazione estensiva della fattispecie prevista dall’art. 10-quater del DLgs. 74/2000 – già affermato da parte della recente giurisprudenza penale, tra cui le pronunce della Cassazione n. 23083/2022 e n. 37085/2021 – viene consolidato dalla sentenza n. 2779 depositata il 23 gennaio 2024 dalla Suprema Corte. Alcune società che si occupavano del deposito di carburanti, anziché pagare l’importo delle accise dovute al momento dell’uscita del prodotto dal deposito, tramite l’emissione del DAS (documento di accompagnamento semplificato), le compensavano di volta in volta con crediti IVA di cui erano divenute titolari o per acquisto diretto o per accollo, risultando tuttavia tali crediti inesistenti. Nell’ambito di tale sistema fraudolento era peraltro emerso il coinvolgimento di alcuni professionisti che, oltre a contribuire a realizzare le singole operazioni avvalendosi delle proprie conoscenze tecniche, si erano spinti talora anche a certificare l’esistenza di crediti IVA di elevati importi. Costoro pertanto sono stati considerati concorrenti nel reato insieme agli amministratori delle società coinvolte. Va precisato che esiste un diverso orientamento per cui la fattispecie di indebita compensazione sarebbe applicabile solamente alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, prese in considerazione dal DLgs. 74/2000, e non anche gli altri titoli elencati ai fini della compensazione dall’art. 17 del DLgs. 241/97 (Cass. n. 38042/2019). Tuttavia, la sentenza oggi in commento ritiene preferibile l’opposta lettura che afferma che l’art. 10-quater citato, proprio per il richiamo espresso all’art. 17 del DLgs. 241/1997, risulta applicabile anche alle ipotesi di indebita compensazione tra crediti risultanti da dichiarazioni fiscali ed altre imposte, contributi previdenziali ed assistenziali, premi INAIL ed altre somme dovute allo Stato, alle Regioni, agli enti locali o altri enti. La norma incriminatrice è infatti ispirata – secondo i giudici di legittimità – dalla necessità di punire tutti quei comportamenti che si concretizzano nell’omesso versamento del dovuto e nel conseguimento di un risparmio di imposta non dovuto mediante l’indebito ricorso al meccanismo della compensazione tributaria; ossia attraverso la materiale redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione che non avrebbe potuto avere luogo, o per la non spettanza o per l’inesistenza del credito. In questa prospettiva, viene evidenziato che l’indebito risparmio di imposta che la norma incriminatrice tende a colpire non può essere limitato al mancato versamento delle imposte dirette o dell’IVA, ma coinvolge necessariamente anche le somme dovute a titolo di imposte di altra natura. Non solo. La Cassazione ritiene ormai ampiamente maggioritaria tale impostazione, così da non ravvisare i presupposti per la rimessione della tematica alle Sezioni Unite, come invece richiesto dal ricorrente nel caso di specie. Interessante è anche l’affermazione del possibile concorso di reati tra l’indebita compensazione e la fattispecie penale di sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici (art. 40 lett. b) del DLgs. 504/1995). Secondo la Cassazione, non esiste tra le due norme un rapporto di specialità poiché disciplinano condotte distinte. Il citato reato in materia di accise sanziona chiunque sottragga con qualsiasi mezzo gli oli minerali, compreso il gas metano, all’accertamento o al pagamento dell’accisa. Si tratta di un reato comune a forma libera, in cui eventualmente possono concorrere, a titolo materiale o morale, anche soggetti esterni. L’indebita compensazione delinea, invece, una fattispecie strutturalmente diversa che incentra il suo disvalore nell’abusivo utilizzo dell’istituto della compensazione tributaria di cui all’art. 17 del DLgs. 241/1997 e si sostanzia in una condotta commissiva che consiste nel supportare il mancato versamento del tributo con la redazione di un documento, il modello F24, ideologicamente falso. Per cui la “ratio” dell’art. 10-quater del DLgs. 74/2000 è la tutela dell’interesse del Fisco alla regolare riscossione dei tributi con riferimento alle fasi del c.d. “autoaccertamento” dei debiti. Gli ambiti applicativi delle due fattispecie penali non appaiono così coincidenti, non potendo la condotta del mancato pagamento delle accise essere “assorbita” da quella sanzionata dal citato art. 10-quater (che peraltro richiede una precisa soglia di punibilità).