La sussistenza di una causa di non punibilità per un reato tributario deve essere valutata dall’autorità giudiziaria; gli organi accertatori sono obbligati comunque a interessare la Procura. La Guardia di finanza ha reso questo chiarimento rilevando come l’art. 347 c.p.p. pone in capo alla polizia giudiziaria l’obbligo di riferire senza ritardo al PM ogni fatto connotato da un fumus di reato. Tale onere informativo impone ai militari operanti di procedere alla trasmissione della comunicazione di notizia di reato alla Procura della Repubblica per le ipotesi delittuose previste dal D.Lgs. n. 74/2000, anche qualora sia astrattamente configurabile la causa di non punibilità di cui all’art. 13 del decreto. Quest’ultima norma è applicabile a seguito dell’integrale pagamento degli importi dovuti a titolo di debiti tributari, sanzioni e interessi, che deve avvenire: - per i reati di omesso versamento e di indebita compensazione di crediti non spettanti, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado; - per i reati dichiarativi, prima che l’interessato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Questo è l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione, che ha riconosciuto in capo alla polizia giudiziaria il compito di procedere alla denuncia di ogni fatto costituente reato, rimettendo all’esclusiva valutazione dell’autorità giudiziaria i profili soggettivi e le altre circostanze diverse dalla materialità del fatto, ivi comprese le cause di estinzione del reato o le cause di non punibilità. Il Comando Generale della GdF, con la circolare n. 1/2018, ha ribadito ai Reparti del Corpo l’importanza di dare sempre chiara evidenza a ogni utile dato o notizia concernente l’eventuale condotta del contribuente volto a soddisfare interessi erariali per il conseguente giudizio dell’autorità giudiziaria, cui è rimessa ogni valutazione circa il caso concreto. Reato tributario della società: il coinvolgimento del collegio sindacale Inoltre, rispondendo ad un altro quesito la Guardia di Finanza ha rilevato che la causa di non punibilità prevista dall’art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, opera con riferimento al delitto di cui all’art. 2 del decreto, sempreché il ravvedimento sia intervenuto prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. In relazione all’ipotesi prospettata, vale a dire l’esercizio di un potere istruttorio non direttamente finalizzato all’accertamento nei confronti del destinatario, quale la mera richiesta di dati e di informazioni a clienti nell’ambito di un’attività ispettiva condotta nei confronti del fornitore, si registra un recente orientamento della Corte di Cassazione secondo la quale l’essere stato chiamato a fornire chiarimenti nell’ambito di verifiche svolte nei confronti di un soggetto eventualmente implicato in un diverso reato non equivale ad aver avuto cognizione di un accertamento compiuto nei propri confronti. Pertanto, secondo i medesimi giudici di legittimità, deve ritenersi conforme alla volontà del legislatore la soluzione interpretativa che non limita l’applicazione della norma premiale nei confronti di un soggetto, qual è l’utilizzatore delle fatture per operazioni inesistenti, che resta estraneo alle attività di accertamento compiute sul soggetto emittente le suddette fatture, che neppure è un concorrente. Quindi è stato chiesto alla Guardia di Finanza come viene valutato l’eventuale coinvolgimento del collegio sindacale con e senza incarico di revisione rispetto a reati di dichiarazione infedele e fraudolenta ascrivibili ad una società. In tema di responsabilità per delitti previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, la Corte di Cassazione ha da tempo espresso un orientamento netto: la responsabilità penale va attribuita all’amministratore, ovvero a coloro che rappresentano e gestiscono l’ente, perché questi sono i soggetti tenuti a presentare e a sottoscrivere le dichiarazioni rilevanti per l’ordinamento tributario. Tuttavia, tale responsabilità può essere estesa ad altri soggetti a titolo di concorso. Affinché ciò accada occorre: - sotto il profilo oggettivo, la presenza di un nesso causale tra gli atti dei concorrenti e l’evento illecito - da un punto di vista soggettivo, la consapevolezza di ciascuno di un collegamento finalistico fra i singoli tributi, senza che sia necessario (come chiarito dalla cassazione) un previo accordo tra le parti. Pertanto, l’effettivo contributo causale dei componenti del collegio sindacale non potrà essere desunto solo dalla posizione formale e dal mancato esercizio dei connessi doveri di controllo, ma come precisato più volte dalla giurisprudenza di legittimità, dovrà essere verificata la presenza di un coinvolgimento attivo nella condotta illecita, ovvero l’effettiva incidenza causale dell’omesso esercizio dei doveri di controllo sulla commissione del reato. L’eventuale responsabilità penale dei sindaci per reati tributari a titolo di concorso potrà dunque essere ipotizzata dai militari operanti soltanto qualora emergano elementi idonei a qualificare come antigiuridica la condotta sulla base delle evidenze concretamente raccolte nel corso dell’indagine di polizia giudiziaria e tenendo conto dello specifico modello di gestione societario adottato. Ciò, ferma restando ogni valutazione inerente all’elemento psicologico di competenza dell’autorità giudiziaria. A mero titolo esemplificativo, la Suprema Corte del 2021 ha chiarito che risponde a titolo di concorso nel delitto di indebita compensazione il componente di un collegio sindacale di una società che esprima parere favorevole all’acquisto di un credito fiscale inesistente nella consapevolezza di tale inesistenza e della strumentalità dell’acquisto al successivo utilizzo del credito ai fini di compensazione. Sanzioni relative all’omessa SOS Infine, la Guardia di Finanza si è espressa sulle sanzioni relative all’omessa segnalazione di un’operazione sospetta. L’art. 58, D.Lgs. n. 231/2001 prevede che, salvo che il fatto costituisca reato, ai soggetti obbligati che omettono di effettuare la segnalazione di operazioni sospette si applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 3.000 euro. Ciò vale sia per i soggetti obbligati “ordinari”, tra cui i professionisti, sia per i soggetti vigilati, tra cui gli intermediari finanziari. Ci si chiede pertanto quale sia il rapporto tra questa disposizione e le possibili sanzioni penali che possono conseguire, in particolare in caso di realizzazione di reati di riciclaggio e autoriciclaggio. Secondo il chiarimento reso dalla Guardia di Finanza, da un lato la ratio della previsione in esame evidenzia la natura complementare e sussidiaria della sanzione amministrativa che dunque è chiamata a cedere il passo nel caso di contestazioni di natura penale. D’altra parte, viene precisato che tali omissioni non possono di per sé integrare l’elemento soggettivo doloso richiesto per i reati di riciclaggio. Tuttavia, una tale omissione potrebbe essere utilizzata per valorizzare l’accertamento dell’elemento soggettivo penalmente rilevante.