Perdite fiscali, accertamenti senza limiti di tempo. Nonostante la decadenza rispetto al primo periodo di imposta della dichiarazione nella quale è stata iscritta la perdita fiscale da parte di una società, l'ufficio può legittimamente contestarla nei successivi anni quando è stata in effetti utilizzata. Lo afferma la sentenza n. 223/2024 della Corte di cassazione civile, nel respingere il ricorso presentato dalla società contribuente avverso quella della Ctr Lazio n. 944/2016, conforme alla decisione dei giudici di prime cure. IL FATTO Il contenzioso nasceva con la notificazione alla società di un avviso di accertamento per maggiori Ires e Irap relative al 2007 (oltre trenta milioni di euro), fondati su numerosi rilievi, tra i quali perdite pregresse ritenute indeducibili nell'anno 2007. Ma, in relazione alle stesse, nulla era stato contestato con riferimento all'anno 2006, annualità in cui erano già state esposte nella relativa dichiarazione dei redditi e non contestate dall'ente impositore. In più, sostiene la ricorrente, le stesse, insieme ad altre contestazioni di quell'anno, erano state oggetto di attenta disamina e definite con il procedimento di accertamento con adesione della controllata, poi incorporata nella società ricorrente. E ancora si duole che nessun rilievo fosse stato formulato in ordine a tali perdite, anche nei precedenti pvc, con ciò contravvenendosi ai principi di buona fede e affidamento, con richiamo all'art. 10 della legge 212/2000 (che però i giudici di legittimità osservano riferirsi alle sole sanzioni). Non solo, l'utilizzo della perdita da parte dell'incorporante, non avrebbe violato in alcun modo l'art. 172, settimo comma, del dpr 917/1986, circa il limite quantitativo per l'utilizzo delle perdite “apportate dalla incorporata” alla incorporante, poiché la determinazione del patrimonio netto dell'incorporata e l'operazione di fusione “erano assistite da valide ragioni economiche e non avevano finalità elusive”. E ancora il giudice dell'appello, sostiene la società contribuente, avrebbe dovuto tenere conto sia della svalutazione di un'altra partecipata “in applicazione del principio di derivazione dell'imponibile fiscale dal risultato emergente dal conto economico posto dall'art. 83 del TUIR”, sia di altre perdite inerenti l'inesigibilità di un credito, in quanto “aveva dato dimostrazione della ricorrenza della sussistenza degli elementi certi e precisi, mediante l'esibizione delle valutazioni di un legale fondate su circostanze obiettive”. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Circa la decadenza dell'Ufficio per l'accertamento sull'utilizzo delle perdite, la Suprema corte non è assolutamente d'accordo e osserva che “stante l'autonomia dei periodi d'imposizione tributaria, il dato di fatto che l'Amministrazione finanziaria non abbia contestato in relazione ad anno precedente una violazione fiscale, il cui prorogarsi degli effetti ha indotto l'Agenzia delle entrate ad effettuare la contestazione in anno successivo, non importa alcuna lesione del diritto di difesa del contribuente e del suo legittimo affidamento”. Oltre a ciò i giudici di legittimità non trovano riscontro della asserita “sussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni che avrebbero giustificato la modifica del criterio di stima del valore degli immobili della incorporata, dal costo storico al patrimonio netto”, che rappresenta la condicio sine qua non per giustificare l'incremento del patrimonio netto operato dalla controllata, così come ritengono di condividere le ragioni espresse della Ctr in ordine alle altre due eccezioni presentate dalla società ricorrente.