Dev'essere assolto dall'evasione fiscale l'imprenditore che ha affidato a un commercialista la presentazione della dichiarazione dei redditi: in questi casi non rileva l'omessa vigilanza sul professionista. È quanto affermato dalla Corte di cassazione penale, terza sezione, con la sentenza n. 6820 del 15 febbraio 2024, che ha accolto il ricorso di un manager, annullando con rinvio la sua condanna. IL FATTO L'uomo era stato accusato di non aver presentato, per conto della sua azienda, la dichiarazione dei redditi. Lui si era difeso sostenendo che aveva dato formale incarico a un professionista ma il Tribunale, con decisione condivisa dalla Corte d'Appello di Perugia, aveva confermato la responsabilità penale. Ora il ricorso in Cassazione: la tesi con la quale la difesa del manager ha tentato di smontare l'impianto accusatorio ha fatto breccia presso gli Ermellini che hanno annullato la condanna. In particolare, ad avviso del legale, dopo aver riportato la motivazione della sentenza del Tribunale di Avezzano sul dolo specifico, ha lamentato che la Corte territoriale non avrebbe risposto al motivo di appello sull'avvenuto deposito della comunicazione annuale dei dati Iva, che dimostrerebbe l'assenza del dolo specifico. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La terza sezione penale ha accolto mettendo nero su bianco che in tema di reati tributari, l'affidamento a un professionista dell'incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione (art. 5, dlgs 10 marzo 2000, n. 74), in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale e indelegabile il relativo dovere; tuttavia, la prova del dolo specifico di evasione non deriva dalla semplice violazione dell'obbligo dichiarativo né da una culpa in vigilando sull'operato del professionista che trasformerebbe il rimprovero per l'atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo, ma dalla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi che il soggetto obbligato ha consapevolmente preordinato l'omessa dichiarazione all'evasione dell'imposta per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale. In sostanza l'accusa avrebbe dovuto dimostrare che vi era un accordo preordinato fra imprenditore e professionista volto all'evasione fiscale: avrebbe dovuto dimostrare il dolo del manager. Questa prova è mancata nel caso sottoposto all'esame della Corte. Ora la causa tornerà a Perugia dove un nuovo collegio dovrà annullare o comunque celebrare l'appello bis. Di diverso avviso la Procura del Palazzaccio che aveva invece chiesto la conferma della condanna.