Se si guarda alle disposizioni che regolano il rapporto di lavoro, non può sfuggire una constatazione: quelle che riguardano il contratto di lavoro a tempo determinato sono oggetto di continui cambiamenti che, sovente, seguono i cambiamenti di governo e ed i ritardi di chi, destinatario di deleghe legislative, non opera nei tempi previsti. Con quest’ultima affermazione, si fa riferimento alle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che, dalla data di entrata in vigore della norma (5 maggio 2023), non hanno provveduto (salvo casistiche riferite a settori minori) ad individuare le specifiche condizioni che consentono ai datori di lavoro di prorogare i contratti a termine oltre a soglia dei 12 mesi fino ad un massimo di 24 (o limite diverso previsto dalla contrattazione collettiva). Tale delega è molto ampia, consentendo anche accordi di secondo livello (territoriali od aziendali, sottoscritti, in quest’ultimo caso dalle “loro RSA” o dalla RSU). In via transitoria e fino al 30 aprile 2024, tale possibilità era stata riconosciuta a livello aziendale attraverso un contratto individuale nel quale le specifiche esigenze tecniche, organizzative e produttive erano state demandate all’accordo tra datore di lavoro e lavoratore. Con l’approssimarsi di tale data e, visto lo stallo degli accordi in settori importanti (basti citare quello dei metalmeccanici o quello del commercio), si doveva trovare una soluzione che arriverà da marzo, con la conversione in legge del c.d. D.L. “Mille proroghe”, e che sarà introdotta, nell’art. 19, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015. Con un emendamento, fatto proprio dall’Esecutivo, il termine per l’individuazione delle specifiche ragioni aziendali definite in un contratto individuale di lavoro per ragioni tecniche, organizzative o produttive, viene spostato in avanti: non più il 30 aprile 2024, ma il giorno ultimo per l’instaurazione del rapporto con tali condizioni viene fissato al 31 dicembre 2024. Se non si fosse trovata questa soluzione che allunga la c.d. “fase transitoria”, sarebbe venuto meno tutto l’impianto di riforma pensato dal Governo con l’art. 27 del D.L. n. 48/2023 il quale, superando le causali introdotte dal c.d. “Decreto Dignità”, e salvando tra queste soltanto le ragioni sostitutive di lavoratori assenti, aveva cancellato sia le “esigenze temporanee ed oggettive estranee all’attività ordinaria” che gli “incrementi significativi e non programmabili dell’attività ordinaria”. Senza l’allungamento della fase transitoria sarebbe stato pressoché impossibile il ricorso al contratto a tempo determinato dopo il primo rinnovo, successivo ai 12 mesi o con la proroga trascorso lo stesso periodo, atteso che il rinvio alla contrattazione collettiva (che ha precedenti nel nostro ordinamento sia nell’art. 23 della legge n. 56/1987 che nel D.L. vo n. 368/2001) era stata la via per ovviare alle condizioni di natura legale individuate dal “Decreto Dignità”. Vale la pena di ricordare come i precedenti normativi appena citati, furono portatori di un notevole contenzioso in quanto la giurisprudenza ritenne che le causali non potevano essere generiche, ma dovevano avere un contenuto specifico ed apprezzabile. Detto questo, andiamo a vedere come opera la facoltà rilasciata alle parti, a livello aziendale, di definire le causali, sia pure in via transitoria. Lo spostamento in avanti del termine fissato, non muta affatto le considerazioni e le criticità che emersero allorquando la norma originaria vide la luce. La disposizione non ha natura strutturale ma è sostitutiva, in via transitoria, della contrattazione collettiva: essa andrà utilizzata entro il 31 dicembre 2024 (inteso come giorno ultimo per sottoscrivere il contratto, potendo quest’ultimo ben esplicare la propria vigenza oltre tale data). Nel caso in cui le parti sociali intervengano a disciplinare la materia nello specifico settore prima della fine dell’anno, il potere di definire le causali specifiche decadrà automaticamente per quelle imprese che allo stesso fanno riferimento. La norma (scritta in modo non lineare) parla di accordo tra datore e lavoratore per individuare le esigenze aziendali sopra citate: è una disposizione che, ad avviso dello scrivente, è lontana dalla realtà, in quanto le esigenze tecnico, organizzative e produttive sono ben conosciute dall’imprenditore e non dal lavoratore che, sottoscrive il contratto per accettazione ed adesione, rispetto a quanto già definito dal datore. Nel contratto individuale che si andrà a sottoscrivere per le esigenze di natura tecnica, produttiva ed organizzativa, sarà opportuno che la causale richiamata sia ben declinata dal datore di lavoro, con spiegazione correlata alla temporaneità, per non incorrere in possibili rivendicazioni a livello giudiziale come avvenne, in un quadro giuridico ben diverso, con il D.L.vo n. 368/2001 e come, in un certo senso, insegna la sentenza della Corte di Cassazione n. 9243 del 4 aprile 2023, sia pure in materia di contratti a termine stagionali. La disposizione, contenuta nel D.L.vo n. 368/2001, non prevedeva un limite temporale al contratto a termine e fu, abbastanza facile, ricondurre il tutto, in presenza di una violazione riscontrabile nella condizione apposta, a contratto a tempo indeterminato, anche perché non erano richiamate nei contratti collettivi in termini ben circostanziati gli aspetti delle concrete esigenze aziendali, richiamate nella lettera di assunzione. Ora, la norma fissa in 24 mesi il termine massimo e, quindi, un eventuale contenzioso potrebbe risolversi in un risarcimento del danno entro tale limite massimo.