Il servizio mensa solo se contemplato dalla contrattazione collettiva ha natura retributiva come espressamente previsto dall’articolo 6, comma 3, del Dl 333/1992 e, quindi, va contemplato nel conteggio del Tfr. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 7742 del 22 marzo 2024. Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità in funzione nomofilattica (Cass. sez. un. n. 3888/1993) "Il servizio mensa - il quale ancorché obbligatoriamente apprestato dal datore di lavoro, in adempimento di quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, non ha natura di retribuzione in natura, difettando del requisito della corrispettività, in quanto la sua fruizione non è causalmente correlata al solo fatto della prestazione lavorativa, ma presuppone un ulteriore atto volontario del lavoratore". Nondimeno, sempre nell'esercizio della nomofilachia si è precisato che tale voce può assumere natura retributiva "allorché le clausole di previsione stabiliscano altresì l'erogazione di una indennità sostitutiva (rispetto alla quale si configura una obbligazione facoltativa del datore di lavoro, con scelta della prestazione rimessa al creditore) a quanti non fruiscano del servizio stesso, ma tale assunzione non può che avvenire nei limiti risultanti dalle dette clausole e perciò con riguardo al solo valore convenzionale dell'indennità e non anche al valore reale, con la conseguenza che, ai fini del computo del relativo emolumento in istituti retributivi indiretti o differiti, deve farsi riferimento esclusivamente al detto valore convenzionale, venendo in rilievo, per la differenza rispetto al valore reale, la natura "ontologicamente" non retributiva del servizio e, quindi, la non computabilità a tali fini" (Cass. sez. un. n. 3888 cit.). Negli stessi termini si è poi assestata la successiva giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis Cass. n. 581/1994; Cass. n. 4839/1998; Cass. n. 14198/2001).