È illegittima, e comporta il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, sia la mancata indicazione nel contratto di lavoro part-time della collocazione temporale dell’orario lavorativo, sia la previsione contrattuale che rimetta al potere unilaterale del datore di lavoro l’indicazione dei turni con comunicazione annuale, successiva alla sottoscrizione del contratto, sulla base delle esigenze aziendali. Inoltre, quando nel contratto part time manchi la precisa indicazione della collocazione dei turni di lavoro, il giudice è tenuto a provvedervi, come in qualsiasi altro caso in cui manchi l’indicazione “puntuale” dell’orario di lavoro. Sono questi i principi affermati dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11333 depositata il 29 aprile 2024. Secondo tale decisione, in primis, i turni di lavoro devono essere indicati per iscritto nel contratto di lavoro a tempo parziale, con specificazione sia della durata della prestazione lavorativa sia della collocazione temporale dell’orario, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. In difetto di tale specifica indicazione, qualora non siano previste clausole flessibili elastiche, risulta violata la ratio sottesa alla disciplina prevista in materia, secondo cui il lavoratore deve essere posto nelle condizioni di conoscere, sin dal sorgere del rapporto, come verrà eseguita la propria prestazione sotto il profilo temporale. Nel caso di specie, in particolare, sul contratto di lavoro erano semplicemente riportati dei dati complessivi, come l’orario di 1008 ore annuali, il numero di ore giornaliere (8), il numero dei turni mensili (18) e i mesi complessivi in un anno (7). La Corte d’appello aveva quindi accertato l’illegittimità del contratto, con condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno determinato, in via equitativa, nella misura pari al 5% della retribuzione percepita dal lavoratore nei periodi lavorati, con esclusione di ferie, permessi, festività e di quant’altro non rientrante nel lavoro effettivo. Tale indicazione è stata infatti ritenuta dai giudici insufficiente e in contrasto con le disposizioni di legge in materia di lavoro part time, secondo cui la collocazione temporale della prestazione lavorativa deve appunto essere determinata o, comunque, determinabile nell’ambito della giornata, della settimana, del mese e dell’anno al fine di consentire al lavoratore di gestire e organizzare al meglio il tempo di lavoro e il proprio tempo libero (la norma di riferimento era l’art. 2 del DLgs. 61/2000, ratione temporis applicabile, la cui disciplina è oggi contenuta negli stessi termini all’art. 5 del DLgs. 81/2015). Sulla base del medesimo ragionamento, è stata parimenti ritenuta illegittima la previsione contrattuale che rimetteva allo ius variandi del datore di lavoro la determinazione della collocazione temporale dell’orario part time, più precisamente quella secondo cui i turni mensili del lavoratore per l’anno successivo sarebbero stati comunicati al dipendente, entro il 31 dicembre, sulla base delle esigenze organizzative e produttive del datore di lavoro. La suddetta previsione è stata, infatti, ritenuta in contrasto con l’esigenza dell’immediata indicazione dell’articolazione oraria dell’attività, considerato che la collocazione temporale della prestazione lavorativa non può essere aleatoria, ma deve essere certa e ben determinata sin dall’inizio del rapporto. Con la pronuncia in commento è stato, infine, affermato, in senso difforme rispetto alla decisione dei giudici di secondo grado, che nel caso in cui nel contratto venga omessa l’indicazione della collocazione temporale dell’orario, il giudice è tenuto a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro. Ciò è disposto dall’art. 10 comma 2 del DLgs. 81/2015, che ha ripreso la previsione contenuta al comma 2 dell’art. 8 del DLgs. 61/2000. La Corte d’Appello aveva contrariamente ritenuto che, essendo previsti dei turni, la fissazione delle modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa part time atteneva all’autonomia negoziale e alla discrezionale volontà delle parti, in considerazione delle esigenze di produzione e di lavoro, rispetto alle quali il giudice non poteva sostituirsi. La Suprema Corte, invece, non ha solo chiarito che a tal fine non rileva l’articolazione in turni della prestazione lavorativa, ma ha anche sottolineato come nessuna lesione dell’autonomia negoziale sia in tale ipotesi configurabile, prevedendo la legge stessa l’intervento surrogatorio del giudice in caso di omessa specificazione della fascia oraria dentro cui collocare la prestazione di lavoro, tenuto conto sia delle esigenze indicate dal lavoratore sia delle esigenze del datore di lavoro.