Con l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 10068/2024, Sezione Lavoro, sono stati ribaditi i requisiti sui quali poggia la nozione di coltivatore diretto ai fini dell’applicabilità dell’assicurazione per la vecchiaia, l’invalidità e i superstiti. In verità, se i requisiti imposti dalla legge in relazione all’obbligo di assoggettamento contributivo sono oramai piuttosto chiari, la recente statuizione dei giudici di legittimità è importante poiché si occupa, tra le altre cose, della sensibilità dei prescritti requisiti previdenziali al rapporto cooperativistico creatosi tra il soggetto obbligato e la cooperativa agricola cui aderisce. Assicurazione previdenziale: requisiti La fattispecie sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione, difatti, era relativa alla corretta qualificazione previdenziale della posizione di un soggetto esercente attività agricola aderente a una cooperativa agricola alla quale conferiva i prodotti ottenuti dalle coltivazioni e a servizio della quale prestava attività lavorativa a tempo determinato. Inoltre, al fine della conduzione dei propri terreni, non assumeva manodopera agricola, servendosi del solo aiuto del coniuge e degli altri soci della medesima cooperativa. La giurisprudenza di legittimità, già a partire dalla sentenza n. 616/1999 delle Sezioni Unite, ha oramai chiarito che l’ammissione all’assicurazione previdenziale per i coltivatori diretti comporta il rispetto di tre requisiti: 1) la diretta, abituale e manuale coltivazione dei fondi o il diretto e abituale allevamento e governo del bestiame; requisito che si concretizza quando i soggetti si dedicano in modo esclusivo o almeno prevalente a tali attività, dovendosi ritenere attività prevalente quella che impegni il coltivatore diretto per il maggior periodo di tempo nell'anno e che costituisca per esso la maggior fonte di reddito (art. 1, comma 3, della legge n. 9/1963); 2) l'effettiva prestazione di lavoro del nucleo familiare non inferiore a un terzo di quella occorrente per le normali necessità delle coltivazioni del fondo e per l'allevamento e il governo del bestiame (art. 2, comma 1, della legge n. 9/1963); 3) un fabbisogno di mano d'opera non inferiore a 104 giornate lavorative annue per la coltivazione del fondo (art. 3 della legge n. 9/1963). La capacità occupazionale dei fondi o degli allevamenti, per il monitoraggio della soglia delle 104 giornate, si determina in base alle cosiddette tabelle “ettaro-coltura”, che, per ogni provincia, stabiliscono il tempo di lavoro occorrente per ogni ettaro di coltura o per ogni capo di bestiame allevato. I requisiti suddetti sono il frutto del combinato disposto tra l’art. 2 della legge n. 1047 del 26 ottobre 1957, che definisce coltivatori diretti i proprietari, gli affittuari, gli enfiteuti e gli usufruttuari, i pastori, che direttamente e abitualmente si dedicano alla manuale coltivazione dei fondi o all'allevamento del bestiame, e gli artt. 2 e 3 della legge n. 9 del 9 gennaio 1963. Ciò, in quanto, relativamente alla qualità di coltivatore diretto, “manca nell'ordinamento una nozione generale applicabile ad ogni fine di legge”. Gli enunciati requisiti sono distinti e non alternativi tra loro, trovano fondamento nelle disposizioni della previdenza, ma non sono altro che il frutto della proiezione della normativa civilistica in materia previdenziale. Il coltivatore diretto, difatti, è annoverato espressamente tra i “piccoli imprenditori”, di cui all’art. 2083 del Codice civile, che esercitano l’attività prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Le attività sono quelle tipiche dell’”imprenditore agricolo” elencate dall’art. 2135 del Codice civile. Partecipazione a una cooperativa agricola: indicazioni della Cassazione Orbene, a parere dei giudici di legittimità “il fatto che la ricorrente si interessasse personalmente dei terreni di «rilevante» estensione, condotti insieme al coniuge, senza assumere manodopera dipendente ma avvalendosi esclusivamente dei soci della cooperativa alla quale ella stessa partecipava come socia conferitrice”, alla luce di ciò che era emerso in sede ispettiva e accertato in fatto dalla Corte d’Appello, non comporta la distrazione del requisito della “proporzione del terzo” tra il lavoro profuso dal coltivatore diretto e dai suoi familiari e il fabbisogno di lavoro complessivo per la conduzione dei terreni. Dalla lettura completa della recente pronuncia si evince che ciò è sufficiente non solo al fine della permanenza dell’obbligo di iscrizione previdenziale, a fronte della quale vige il corrispondente obbligo di versamento della contribuzione, ma anche a giustificare il “disconoscimento di giornate bracciantili prestate negli anni cui si riferivano i contributi richiesti” dall’INPS. Dalla recente ordinanza non si comprende se la cooperativa cui l’interessata partecipa è una cooperativa agricola di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 228/2001 ovvero una cooperativa di trasformazione di cui alla legge n. 240/1984 dedita alla trasformazione, manipolazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e zootecnici propri o dei soci aderenti. Sebbene in entrambe le fattispecie vige l’interesse comune del socio e della cooperativa al raggiungimento dello scopo mutualistico della cooperativa medesima, sembra doversi escludere che si tratti di cooperativa di trasformazione. È più verosimile, infatti, che ci si trovi dinanzi alla fattispecie di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 228/2001, in virtù del quale si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi che utilizzano per lo svolgimento delle attività connesse prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico.