Quanto si perde uscendo dal lavoro a 64 anni con la pensione anticipata contributiva? È ciò che si chiedono in molti, specialmente coloro che si ritrovano con versamenti INPS accreditati anteriormente al 1996. Facciamo un passo indietro: la pensione anticipata contributiva (art. 24 co. 11 D.L. n. 201/2011), di regola, può essere ottenuta soltanto da coloro che non hanno alcun accredito al 31 dicembre 1995, cioè da coloro che si ritrovano nel sistema interamente contributivo di calcolo della pensione. Tuttavia, come chiarito dall’INPS (circ. n. 35/2012 e n. 184/2015), è possibile beneficiare del trattamento anche da parte degli iscritti all’Istituto anteriormente al 1996, qualora, al momento del pensionamento, optino per il computo presso la Gestione Separata (art. 3 D.M. n. 282/1996). Questa opzione, che comporta il calcolo contributivo anche dei periodi accreditati al 31 dicembre 1995 (normalmente valorizzati con sistema di calcolo retributivo), consente infatti di raggiungere quei trattamenti pensionistici riservati dalla legge Fornero ai lavoratori “contributivi puri” (possibilità invece non concessa con la semplice opzione al contributivo di cui all’art. 1 co. 23 L. n. 335/1995). È dunque necessario, prima di decidere se fruire di tale uscita anticipata, capire se e quanto si va a perdere: il ricalcolo contributivo, difatti, comporta spesso delle penalizzazioni rilevanti nell’importo dell’assegno pensionistico. La valutazione in merito a tale tipologia di trattamento di pensione, tuttavia, è necessaria anche per chi non ha contributi accreditati prima del 1996, e si ritrova dunque già con il calcolo interamente contributivo dell’assegno. Questo, in quanto, innanzitutto, un’uscita anticipata determina un minore versamento di contributi e un coefficiente di trasformazione (quella cifra, espressa in percentuale, che converte la somma dei contributi rivalutati in pensione) più basso, in quanto tale coefficiente moltiplicatore cresce con l’età pensionabile. Inoltre, la legge di Bilancio 2024 (L. n. 213/2023) ha previsto, sino all’età per il pensionamento ordinario di vecchiaia (attualmente, 67 anni), un tetto massimo di importo pari a 5 volte il trattamento minimo: la pensione, dunque, non può essere, sino ai 67 anni, più alta di 2.993,05 euro lordi mensili. Tutti questi fattori devono essere assolutamente considerati nella valutazione di convenienza relativa all’accesso alla pensione anticipata contributiva. Requisiti Ricordiamo innanzitutto quali sono i requisiti per accedere alla pensione anticipata a 64 anni, considerando che sono stati notevolmente inaspriti dall’art. 1 co. 125 della L. n. 213/2023: - requisito anagrafico pari a 64 anni; - requisito contributivo pari a 20 anni (la Manovra ha reso anche questo requisito, e non più soltanto quello di età, adeguabile alla speranza di vita media); - un "importo soglia" minimo dell'assegno pensionistico, pari non più ad almeno 2,8 volte quello dell'assegno sociale (1.496,35 euro per il 2024, circ. INPS n. 1/2024), ma a 3 volte l’assegno sociale (1.603,23 euro); L’importo resta fermo a 2,8 volte l’assegno sociale solo per le donne con un figlio e scende a 2,6 volte (1.389,47 euro) per le donne con 2 o più figli; - una finestra di attesa pari a 3 mesi; - un tetto massimo d’importo pari a 5 volte il trattamento minimo (2.993,05 euro per il 2024), sino alla maturazione del requisito di età per la pensione di vecchiaia ordinaria di cui all’art. 24 co.6 DL 201/2011 (attualmente e almeno sino al 31 dicembre 2026 pari a 67 anni). Importo di pensione: contributi necessari In base a quanto esposto, è evidente che non risulti affatto semplice accedere alla pensione anticipata contributiva, soprattutto a causa dell’importo soglia minimo di accesso: - nella generalità dei casi, difatti, si richiede di aver maturato un montante contributivo (la somma dei contributi accreditati anno dopo anno nella propria posizione previdenziale, rivalutati secondo il tasso di capitalizzazione, basato sulla variazione quinquennale del Pil nominale) pari a un minimo di 398.813,43 euro; tale montante consente di raggiungere, a 64 anni e 3 mesi, una pensione mensile almeno pari a 1.603,23 euro, pari a 3 volte l’assegno sociale; arrivare a tale importo significa aver beneficiato per 20 anni di uno stipendio medio di oltre 54.500 euro annui, oppure di un reddito medio di 72.000 euro percepito in qualità di libero professionista iscritto alla Gestione Separata; - alle donne con un figlio è invece richiesto un montante leggermente inferiore, pari ad almeno 372.226,37 euro; tale valore, infatti, moltiplicato per l’attuale coefficiente di trasformazione relativo ai 64 anni e 3 mesi di età, porta ad una pensione mensile di 1.496,35 euro, 2,8 volte l’assegno sociale; arrivare ad un simile accantonamento richiede, per 20 anni, uno stipendio medio di oltre 50.757 euro annui, o un reddito medio di 67.000 euro percepito in qualità di libera professionista iscritta alla gestione Separata; - se la cavano meglio le donne con più figli, alle quali basta un montante contributivo pari ad almeno 345.639,30 euro; questo valore, infatti, moltiplicato per l’attuale coefficiente di trasformazione relativo ai 64 anni e 3 mesi di età, porta ad una pensione mensile di 1.389,47 euro, 2,6 volte l’assegno sociale; arrivare ad un simile accantonamento richiede uno stipendio medio di oltre 47.121 euro annui, o un reddito medio di 62.200 euro percepito in qualità di libera professionista iscritta alla gestione Separata. Quanto si perde? Abbiamo osservato gli stipendi necessari, per 20 anni, per arrivare alla soglia minima di importo richiesto per la pensione anticipata contributiva. Laddove gli stessi stipendi fossero stati valutati con sistema retributivo, avrebbero dato luogo a una pensione mensile superiore, rispettivamente pari a 1.677 euro (con stipendio di 54.500 euro), anziché 1.603,23, di 1.562 euro (con stipendio di 50.757 euro) anziché 1.496,35 e di 1.450 euro (con stipendio di 47.121 euro) anziché 1.389,47. Con il ricalcolo contributivo si hanno, dunque, delle penalizzazioni; non si può, tuttavia, semplificare eccessivamente la valutazione: - in primo luogo, in quanto il calcolo della pensione, per coloro che hanno meno di 18 anni al 31 dicembre 1995 e possono dunque accedere al computo, è retributivo solo sino al 1995, dal 1996 è comunque contributivo; - secondariamente, in quanto le carriere non sono lineari, capita così che i redditi considerati nella retribuzione media pensionabile, i più recenti, siano più elevati rispetto al reddito medio dell’intera carriera, quindi, offrano un plus sulla pensione; - bisogna inoltre valutare la crescita dei redditi e della contribuzione, nonché del coefficiente moltiplicatore che vi sarebbe, continuando l’attività lavorativa, per valutare in prospettiva quanto si perde. Quest’ultima valutazione è quella che deve essere fatta anche da coloro che si trovano già nel sistema interamente contributivo di calcolo della pensione; attendere, ad esempio, i 67 anni ed uscire con la pensione di vecchiaia ordinaria, per loro può comportare: - maggiori versamenti contributivi, in base a stipendio e reddito, che quindi vanno ad aumentare il montante e, di conseguenza, l’importo dell’assegno; - un coefficiente di trasformazione più elevato che determinerebbe una valorizzazione del montante di quasi lo 0,6% aggiuntivo; - maggiori rivalutazioni annue del montante in base al tasso di capitalizzazione. Ultima ma non ultima, la questione del tetto massimo di importo applicato sino ai 67 anni: questo limite penalizza soprattutto chi può beneficiare di pensioni elevate, dai 3.000 euro mensili in su.